L’asse franco-renano e la crisi politica ed economica dell’europa

-di MAURIZIO BALLISTRERI-

Perché il cosiddetto “populismo” in Europa avanza si chiedono i politologi e perché il suo consenso tra la gente aumenta, anche nei territori, come il nostro Mezzogiorno, più in difficoltà, con tanti nuovi leader affetti da oclocrazia, pur non conoscendo Polibio. Ragionando laicamente e non per stereotipi le motivazioni sono certamente plurime. In primo luogo l’acquiescenza delle forze politiche tradizionali, quelle del popolarismo cristiano, del socialismo democratico e del liberalismo, nei confronti della “dittatura del mercato” con il suo combinato disposto: la finanziarizzazione dell’economia e l’austerity europea, con la sinistra in drammatico affanno, incapace, tranne in Spagna, Portogallo e Gran Bretagna, di recuperare il rapporto con quelle che un tempo si definivano le “masse popolari” e utilizzando il conflitto sociale per redistribuire potere e ricchezza, per tacere poi, dell’inadeguatezza di alcune analisi: paradigmatica l’affermazione di una bella rivista come “Le Monde Diplomatique” che ha definito l’ascesa delle forze politiche definite sovraniste e populiste come un “maggio ’68 alla rovescia”.

Ma c’è, sicuramente, anche un’altra motivazione che sostiene questa ascesa e, cioè, le politiche utilitaristiche in chiave nazionale di Germania e Francia, che hanno rilanciato il vecchio asse franco-renano per egemonizzare sul piano geopolitico l’Europa: alla prima doveva andare l’Europa centrale, all’Est fino ai Balcani, con il primato dell’economia trasformando l’eurozone di fatto in una grande area del marco; alla seconda l’Europa meridionale e mediterranea, ripristinando l’antico colonialismo in chiave di protettorato sull’Africa del Nord.

Merkel e Sarkozy prima e Macron oggi, hanno commesso errori imperdonabili, dando la stura al drammatico fenomeno dell’immigrazione di massa, che costituisce l’asset più importante per il consenso dei partiti definiti populisti, la Germania facendo pagare all’Ue 6 miliardi di euro alla Turchia di Erdogan (vero e proprio “laboratorio” autoritario e populista) per trattenere (invano) due milioni e mezzo di profughi, la Francia sostenendo la fine del regime di Gheddafi e di quello di Bashar al Assad in Siria (che, invece, rinsaldato l’asse tra la Russia di Putin e l’Iran con il sostegno della Cina), veri e propri buchi neri per l’immigrazione disperata e senza controllo, rispetto a cui gli egoismi europei sono drammaticamente esplosi, come dimostra il Vertice informale di Bruxelles. E dalla Siria, per di più, sono arrivati il terrorismo jihadista e milioni di profughi, quanto alla Libia siamo di fronte a un disastro ancora peggiore della guerra in Iraq degli americani nel 2003, che già sembrava un danno di proporzioni incalcolabili

Il risultato è che la “Cancelliera di ferro” sembra arrivata al capolinea, che rischia di dividere i cristiano-democratici dai conservatori cristiano-sociali, con un scontro tra Berlino e Monaco di Baviera che storicamente è stato foriero di drammi in campo europeo, mentre Macron vorrebbe rilanciare la “grandeur” francese, tra Napoleone e De Gaulle, con proclami senza esiti concreti.

Il risultato degli “statisti” dell’asse renano è che si profila una divisione trasversale in Europa, da un lato gli euro-unitari, appesantiti dall’austerità monetarista, dall’altra il Gruppo di Visegrad capitanato dall’ungherese Orban, con significative sponde nel governo italiano e soprattutto nel ministro degli Interni Salvini, che rappresentano una sorta di contro-modello europeo, paradossalmente quello del generale De Gaulle dell’”Europa dei Popoli”.

E così, Trump con il suo neoprotezionismo ha buon gioco a inserirsi nelle divisioni europee, pronuba anche la Brexit, per restituire al dollaro nelle transazioni finanziarie e all’economia made in Usa i vecchi primati globali.

Sono sempre più attuali le parole del filosofo tedesco Jurgen Habermas, nel suo libro del 2014 Nella spirale tecnocratica. Un’arringa per la solidarietà europea: “Mentre la politica si assoggetta agli imperativi del mercato, dando per scontato l’aumento della diseguaglianza sociale, i meccanismi sistemici si sottraggono progressivamente alle strategie giuridiche stabilite per via democratica. Questo trend non potrà essere rovesciato se non nell’ipotesi – tutt’altro che garantita – che la politica riconquisti un suo potere di azione sul piano europeo.”

 

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