16 giugno 1944: quei 1500 operai genovesi finiti a Mauthausen

-di GIULIA CLARIZIA-

La Resistenza italiana non si é combattuta solo sui monti. Quando c’è la guerra, i camini delle fabbriche devono continuare a fumare. Lì la forza lavoro è essenziale e lì, nelle fabbriche, ha preso piede la resistenza operaia. Una forma di resistenza spesso trascurata dalla stessa storiografia fino agli anni Settanta, ma ugualmente combattuta a costo della vita.

Il 16 giugno 1944 a Genova se ne pagò il prezzo.

Durante il fascismo il diritto allo sciopero era un miraggio lontano, così come lo era il fatto di avere una rappresentanza sindacale. Eppure, la voce dei lavoratori continuava clandestinamente a farsi sentire. Volantini lasciati nei bagni, scritte sui muri, piccoli gesti che tuttavia lasciavano intendere che qualcosa continuava a muoversi.

Dopo l’armistizio, il nord industriale continuava a vivere sotto il giogo nazi-fascista della repubblica di Salò. La guerra era tutt’altro che finita portando con sé gli spettri delle bombe e della fame. L’occupazione tedesca faceva pressione sull’industria bellica italiana e le condizioni dei lavoratori peggioravano di giorno in giorno: i salari erano al minimo, le ore di lavoro aumentavano. Si temeva lo smantellamento delle industrie e il trasferimento degli operai in Germania. In particolare Genova, insieme a Milano e Torino, costituiva una fortezza industriale sulla quale i tedeschi contavano e che doveva quindi essere controllata con il pugno di ferro. Già dal novembre 1943 gli operai genovesi dimostrarono la tempra del loro carattere proclamando scioperi, coordinandosi con i GAP e andando incontro a pubbliche esecuzioni da parte delle autorità naziste. Queste ultime non esitavano a ristabilire l’ordine con i metodi più duri. Per questo probabilmente, quando nel marzo 1944 si invocò lo sciopero nell’Alta Italia, Genova ne fu assente. D’altronde proprio in quei giorni il governatore della provincia Basile minacciava a chiare lettere che al minimo accenno di sciopero avrebbe fatto seguito la deportazione.

Tuttavia, nonostante le minacce, i primi di giugno a Genova esplose la frustrazione dando vita a diversi giorni di scioperi, a cui le autorità repubblichine risposero con la serrata. Qualche giorno dopo il lavoro riprese. Era il 10 giugno quando i nazifascisti fecero irruzione all’ Ansaldo Meccanico di Sampierdarena e rastrellarono sessantaquattro operai. Un episodio drammatico, sì, eppure offuscato dall’ancora più intensa drammaticità di ciò che seguì.

Nei giorni successivi si credeva ripristinata la normalità. Nessuno il 16 giugno si aspettava di essere caricato su un vagone e di andare via forse per non tornare. Eppure, nel primo pomeriggio di quell’afoso giorno di lavoro, 1488 operai furono deportati a Mauthausen per lavorare nelle fabbriche gestite dalle SS, prelevati dalla Ansaldo, dalla San Giorgio, dalla Piaggio e dalla Siac. Fu una delle più pesanti deportazioni di civili che l’Italia conobbe.

Ridotti praticamente alla schiavitù, non tutti riuscirono a tornare a casa.

Se il lavoro è la quintessenza dell’uomo, per dirla con Marx, battersi per la dignità delle sue condizioni è tanto importante quanto battersi per la libertà.

Oggi quindi, 16 giugno, ricordiamo la resistenza operaia e l’importanza dei diritti dei lavoratori.

giuliaclarizia

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