–di PIERLUIGI PIETRICOLA-
In molti conoscono il nome Bolaffi, in ragione delle sue diversificate attività in ogni ambito del collezionismo, delle aste e anche dell’editoria. Un’attività iniziata nel 1890 e che oggi, giunta alla quarta generazione, è condotta da Giulio Filippo, primogenito di Alberto Bolaffi. Dopo una lunga permanenza alla guida dell’antica azienda torinese, e ormai ritiratosi da parecchi anni, se ci imbattiamo nel Cavaliere del Lavoro Alberto, non è tanto per ripercorrere, sovente in veste di pioniere, i molti itinerari che ha esplorato nel mondo del collezionismo e dell’editoria, ma per intrattenerci su una delle sue tante collezioni, molto insolita e certamente almeno apparentemente non nomenclabile nell’ambito del raccogliere.
Alberto Bolaffi appartiene infatti a quella schiera di personalità che Nietzsche definirebbe inattuali, perché amano seguire mode e tendenze pure al di fuori della contemporaneità, e preferiscono ritagliarsi un loro spazio di autonomia mentale nel quale poter stare e dal quale osservare il mondo. È, questo, un sano distacco nel quale è bello vivere, poiché consente di non essere influenzati da quanto avviene dintorno e al contempo si riesce a mantenere sui vari accadimenti uno sguardo lucido, attento e molto anomalo rispetto al comune pensare. Sono persone rare da incontrare dal momento che nel contesto di questo loro spazio privato si concedono poco. Ma quando ciò avviene, è impossibile non restarne affascinati.
Alberto Bolaffi è un uomo di gusto e di stile. Ha uno sguardo vispo che si aggira famelicamente su tutto ciò che gli capiti davanti. Una curiosità vorace, sempre temperata da una settecentesca intelligenza: è questa l’aura che la sua persona promana. Si aggiunga a tutto ciò un’ironia di stampo britannico, probabilmente risalente al nonno paterno Alberto, vissuto con tale passaporto. Una “sprezzatura” che richiama ciò che, a tal proposito, diceva Castiglione, è quanto basta per fare di Alberto Bolaffi un umanista a pieno titolo, in grado di individuare la qualità nelle cose, sempre associata ad un talento nel saperle mostrare in tutta la loro essenziale luminosità.
Cav. del Lav. Bolaffi, prima di cominciare questa nostra chiacchierata ho da farle una confessione.
Mi dica pure.
Io non sono venuto qua, come accennato, per parlare della Bolaffi, ma di una teoria di cui so – perché per prepararmi al nostro incontro ho curiosato un po’ su Internet e di cui inoltre recentemente si è fatto qualche velato cenno durante una sua intervista su un noto quotidiano italiano (La Repubblica) – essere lei l’autore. Spero non le dispiaccia…
Non ho nessuna difficoltà, anche se sino a oggi non ho mai chiaramente esternato a un giornalista il mio scellerato – io lo definisco così – modo di guardare all’uomo e alle cose.
Quindi non si offende se parliamo di qualcosa che, apparentemente, sembra distanziarsi dal collezionismo…
Assolutamente no! Anche perché quello a cui si riferisce lei, e di cui parleremo, trova le sue radici proprio partendo dal collezionismo. Se vogliamo, dopo aver catalogato francobolli, monete, vini, ogni ambito del manifestarsi dell’arte, le automobili, ecc., questo mio anomalo modo di guardare alla vita, mi ha portato oggi con poca modestia ma molta umiltà a classificare pure l’uomo.
Si spieghi meglio…
Uno strano percorso privato, anche se iniziato tantissimi anni fa, che ho definito in veste di Zoosociologia. Il che significa guardare all’uomo come un animale, peraltro non previsto dal Creato e quindi molto anomalo anziché annoverarlo come il figlio prediletto di Dio. Un distinguo fondamentale che, per la corrente anomalista, di cui pure qui sono la madre (mater semper certa) prioritariamente ha dato all’uomo un cervello accumulativo, rispetto a tutti gli altri abitanti della Terra che dispongono, anche se ottimo, solo di un cervello conduttivo.
Si tratta quindi di una prima in assoluto?
In un certo senso sì. Quando scrivo o parlo di collezionismo, parto sempre da questa mia teoria ma senza andare troppo nei dettagli. Tuttavia già in altri contesti ho accennato che le capacità intellettuali dell’uomo, rispetto a quelle degli altri animali, sono dipese dal suo cervello accumulativo. All’inizio, anche se solo in dimensione molto embrionale, questo strano essere, dopo aver guardato, raccolto, e conservato alla pari di molte specie, ha pure – fatto non previsto dal creato – strumentalizzato (lasciamo perdere i castori, ecc.). Da allora è stato un cammino quasi inarrestabile e così facendo è riuscito a creare la quarta dimensione dal momento che, dopo aver soggiogato le altre tre, ha “impacchettato” e strumentalizzato più o meno tutto il circostante. Quindi, mi conceda questo spot pubblicitario: ogni nostra conquista, proprio in ragione del raccogliere e dello strumentalizzare, nasce dal collezionismo.
Bene! Arriveremo alla Zoosociologia e all’Anomalismo, ma prima vorrei parlare della sua infanzia. Com’era lei da bambino?
Direi che sin dalla più giovane età ho dovuto affrontare in misura molto autonoma e solitaria il mio affacciarmi alla vita. All’inizio però, sia io che mia sorella eravamo affidati a una governante, con la quale stavamo pressoché tutto il giorno. In seguito, a causa delle persecuzioni razziali, siamo dovuti fuggire improvvisamente con questa persona, che si rivelò una vera e propria eroina. Fino alla Liberazione la nostra vita, sempre colma d’imprevisti, si svolse in modo rocambolesco. Fra l’altro mio padre Giulio andò a combattere nella Resistenza col nome di Aldo Laghi.
Di cui sono da poco stati ripubblicati i diari di quel periodo…
Sì esatto. E dalla loro lettura, soprattutto oggi in cui vige la più grande confusione su questo argomento, emerge che nel contesto bellico esistono dei cristallini quanto eroici capitoli, sufficienti per conferire alla Guerra Partigiana il suo prioritario, vero e impareggiabile significato a favore della giustizia e della libertà.
Mi perdoni, l’ho interrotta…
Si immagini. Dicevo che dopo la guerra, siamo ritornati a Torino. In tutte queste traversie, fra le altre cose, abbiamo anche perso nostra madre. Di lì a poco, finite in modo raffazzonato le elementari, venni inviato in un collegio d’impronta calvinista in Svizzera.
Che ricordo ha di questo periodo?
Ero molto indisciplinato. Da piccolo venivo picchiato dai ragazzi più grandi e poi appena ho potuto ho restituito il dovuto. Ciò significava essere sempre punito, perché venivo meno ai dettami di rigore scolastico e della disciplina che il collegio ci imponeva. Fui poi più o meno espulso dopo qualche tempo e l’ultimo anno dei miei studi secondari lo finii da esterno in una scuola che recuperava i cancres , cioè gli “scaldabanchi”.
Non ha un bel ricordo di quegli anni?
In quanto orfano, fra il bello e il brutto, sceglierei comunque il bello. Infatti per me rappresentò un’esperienza molto formativa sotto ogni punto di vista. Malgrado tutto, soprattutto a posteriori, recepii il qualificatissimo livello didattico che i miei professori avevano cercato di inculcarmi e poi inoltre soprattutto formativo a livello socio-esistenziale. In questo contesto l’apprendimento iniziò dai primi tre concetti che imparai in francese, da parte degli insegnanti, di cui poi ci impossessammo tutti: il ne faut pas tricher. Vale a dire che veniva severamente punita l’arte dell’imbroglio, del raggiro e della truffa. Poi sale juif, da parte dei figli dei nazisti che erano in transito in Svizzera prima di raggiungere i loro genitori in Argentina, e infine sale italien, da parte dei francesi, visto l’atteggiamento quanto mai anodino che avevamo mantenuto durante la seconda guerra mondiale.
E tornato dal collegio cosa ha fatto?
Mi sono iscritto all’università.
Che facoltà?
Economia, ma non l’ho finita. Ho dato un certo numero di esami e poi ho lasciato stare visto che mi sono messo subito a lavorare nell’azienda di famiglia. Un coinvolgimento che non era solo un alibi vista la mia poca propensione allo studio, ma anche determinato dal fatto che la ditta stava passando un particolare momento in cui la mia presenza appariva quanto mai opportuna.
Ma le sarebbe piaciuto fare qualcos’altro?
Sì, certamente, anche se la mia scelta di proseguire con l’attività familiare l’avevo da tempo ritenuta tanto necessaria quanto gradita. Avevo però previsto una pausa a favore di un’altra mia passione, prima di immergermi full time nel lavoro.
E cosa?
Io son sempre stato appassionato di volo. Durante il collegio seguivo e leggevo le vicende dei piloti francesi inglesi e conseguentemente partecipai al concorso come allievo ufficiale pilota di complemento …
E lo vinse?
Sì. Nel 1959 mi posizionai se ricordo bene settantacinquesimo su centoventi posti disponibili. Un risultato soddisfacente, viste le tantissime richieste, e io non ero raccomandato da nessuno, anche perché la mia famiglia era contraria.
E si arruolò?
No. Col biglietto ferroviario fornitomi dallo Stato già in tasca, atto a raggiungere la Scuola di Volo di Lecce, pochi giorni prima della partenza dovetti rinunciare per un’imprevista quanto grave vacatio di ordine dirigenziale intervenuta in seno all’azienda.
Le dispiacque?
Diciamo che io ho due piccoli rimpianti nella mia vita: la laurea che non ho conseguito, pur avendo dedicato qualche serata allo studio, e per l’appunto non essere diventato un pilota militare. C’est la vie. Però grazie alle esperienze che ho acquisito in gran parte dal mondo del lavoro, ho avuto modo di elaborare e sviluppare le mie teorie che sono poi sfociate nella Zoosociologia e nell’Anomalismo.
È stato solo grazie al suo lavoro che le ha pensate ed elaborate?
In realtà, anche se in modo molto empirico quanto incerto, ho iniziato a pensarci fin dai tempi del collegio. Vi erano ragazzi delle più svariate origini e provenienze religiose con cui mi trovavo a condividere spazi e tempi. Sin da allora fra l’altro cominciarono i miei tentennamenti nel credere a una precisata quanto definita esistenza teocentrica. Soprattutto in quanto da parte mia emergeva la convinzione che l’interpretazione divina fosse stata data a ciascuna delle tante confessioni che pretendevano di possederne l’esclusiva. Un po’ già da allora in modo vago e beceramente iconoclasta, presi a pensare che l’uomo non fosse poi tanto il figlio prediletto di Dio.
Cioè?
Un interrogativo che mi portai appresso sin da allora, e che in età matura m’indusse a intraprendere la strada della Zoosociologia e poi dell’Anomalismo.
E consiste in cosa, esattamente?
Nel considerare l’uomo per quello che è, cioè un animale della specie dei mammiferi che in chiave darwinian-evoluzionista, discende da una o più specie di primati. Una presa di coscienza non certamente inedita, ma che progressivamente mi ha condotto a ben diverse e se vogliamo impensabili conclusioni. Si tratta infatti di un’opzione che attribuisce l’origine dell’uomo a un’anomala quanto imprevista sopravvivenza. Un’inconcepibile esistenza ascrivibile a uno stato degenerativo che normalmente porta all’estinzione. In sintesi, come già accennato, un essere non previsto dall’ecosistema.
E sarebbe?
Una sopravvivenza che, attraverso varie fasi, fatto fondamentale, ha dotato l’animale uomo di particolari quanto anomale capacità celebrali.
Che, ovviamente, come accenna, si tratta di un cervello diverso dagli altri esseri viventi.
Esattamente. Ma la vedo perplesso.
Tutt’altro. Sono affascinato.
Allora proseguo ripartendo da questo animale di origine linfatica, privo di peli, che prefigura (cito Desmond Morris) uno stato degenerativo non solo fisico ma soprattutto cerebrale.
Una demenza che per ragioni bio-neurologiche gradualmente conquista però una sua anomala autonomia, atta ad acquisire, come già detto, un cervello accumulativo, rispetto a quello conduttivo degli altri esseri.
E qual è la differenza?
Molto semplice. Tutti gli altri animali dispongono di un cervello conduttivo, cioè una capacità che consente loro di dirigersi in modo consono e con grande abilità in dimensione contestuale alla loro esistenza. Ciò che per esempio gli permette d’individuare come nutrirsi, difendersi, riconoscersi, reperire nuove piste, ecc. Una perfetta macchina che garantisce un’armonica esistenza con l’ecosistema, anche se non priva di rischi, mentre il cervello dell’uomo ha sempre cercato di infrangerne i confini. Col passare del tempo, questo anomalo cervello, si sta da non molto addirittura inventando un sostituto attraverso l’intelligenza artificiale.
Una capacità cognitiva, bene precisare, che attraverso la storia delle nostre conquiste, è riconducibile solo a poche menti particolarmente dotate, che dalla ruota a grandi passi, ci hanno consegnato il motore, la penicillina e poi i razzi che hanno portato l’uomo a camminare sulla Luna.
Mi tolga una curiosità: come mai fino ad ora tutto questo non è stato mai pensato dagli scienziati?
Me lo chiedo anch’io. Probabilmente in quanto si tratta di elucubrazioni totalmente scellerate! Ma forse a mia scarna difesa, aggiungo anche un’altra ipotesi. Credo infatti che pure da parte dei più convinti laici, non possa essere facile attribuire al proprio essere una genesi accomunabile a quella di tutti gli altri animali e inoltre proveniente da una culla degenerata. Degli esseri quindi completamente privi di una qualche positiva credenziale nel contesto dell’ecosistema. Al cospetto di questa evidenza gli scienziati si limitano però ad attribuire a questo nostro anomalo modo di esistere, una non meglio definita “scintilla”. Partendo invece dalle logiche zoosociologiche in chiave anomalista, le deduzioni sul nostro essere diventano in ogni ambito molto differenziate.
Che sarebbero?
Cito per esempio che gli animali, trascorrono la loro esistenza – secondo l’iter previsto senza l’intrusione umana – in un habitat che, anche se non privo di difficoltà, è in armonia e disciplinato dall’ecosistema. Invece noi, primati dall’origine degenerata, grazie al nostro cervello accumulativo, ci siamo gradualmente sempre di più allontanati dai confini naturali. Il che significa che, a seconda dei luoghi e dei Paesi, abbiamo creato artifizi e imposizioni alla nostra esistenza, che hanno prodotto dei veri e propri traumi psico-esistenziali. Queste imposizioni di ordine etico e sociale hanno tra l’altro generato la nevrosi, patologia che non esiste fra gli animali in libertà.
Però l’uomo, comunque, vive in un ambiente anche naturale.
Forse con molti limiti è ancor vero per qualche sperduta popolazione primitiva, non certamente per il resto dell’umanità. Il nostro comportarci è più o meno infatti mediato da ciò che è stato definito e che viene continuamente aggiornato dagli aristocratici del nostro cervello accumulativo. Mi riferisco ai Simapero…
Mi perdoni: chi?
I Simapero. Non li conosce?
Veramente no.
I Simapero sono gli esponenti di una delle stirpi più importanti dell’Occidente e non solo. Infatti i loro discendenti si sono diffusi un po’ ovunque nel mondo anche se assumendo dei cognomi differenziate solo per ragioni glottologiche. Per esempio in Inghilterra sono i “Yesbut”, in Germania “Jaaber”, in Francia “Ouimais”, ecc. In sintesi sono tutti coloro che hanno fatto progredire la nostra civiltà, intercalando tuttavia dei continui Sì-ma-però.
Adesso ho capito.
Per citare degli esempi, fra i primi Simapero si può forse alludere a Platone, che al sapere di Socrate inserì dei “sì, ma, però”. E poi, seguendo questo modo di procedere, a grandi balzi arriviamo a Galileo, Einstein… e perché no anche Barnard, il cui trapianto per la zoosociologia rappresenta un elemento determinante a favore dell’anomalismo.
Così procedendo, da esseri innaturali quali siamo, abbiamo ovviamente creato tante cose innaturali, e pur usufruendone, non ci rendiamo obiettivamente e realmente conto di questo nostro anomalo progredire.
Perché?
Quasi tutti e inconsapevolmente anche i laici, attribuiscono le loro capacità a ragioni implicite al nostro essere. Un procedere “comunque voluto e diretto dall’alto”, che consente di lasciare per strada tanti errori e tante nefandezze, visto che tutto ciò ci ha comunque consentito di primeggiare in ogni ambito della scienza, della cultura, dell’arte, ecc.
E dalla Zoosociologia come si arriva all’Anomalismo?
Se si guarda all’armonico esistere, salvo le intrusioni umane, di tutto quanto ci circonda e se inoltre ci soffermiamo sul comportamento degli altri animali, mi sembra ovvio pensare che siamo esseri molto anomali.
Quindi l’uomo è un’anomalia?
Esattamente. In sintesi non è il figlio prediletto di Dio, ma il frutto di una sua “distrazione”, almeno è ciò che penso. E quindi tutti hanno diritto di scagliarmi addosso degli ortaggi se non di peggio.
E cosa ne deduce?
Ne deduco tantissime conseguenze fondamentali. Fra le più salienti e recenti penso al già citato 1967, che ci ha sradicato ancor di più dal sistema ecologico naturale.
Cioè?
Mi riferisco al primo trapianto cardiaco. Si è trattato di una svolta fondamentale. La bioingegneria ha creato una separazione fra noi e la restante natura ancor più marcata. Un fatto che ci fa apparire sempre più evidente la nostra incapacità di recepire nella giusta direzione la micro-distanza.
In che senso?
Nel senso che noi, grazie anche all’invenzione di “protesi oculari”, possiamo vedere sempre più lontano. Però in diretta contrapposizione, pure in ragione dei concetti già espressi, siamo totalmente incapaci di autodefinire la nostra esistenza salvo naturalmente ricorrere al teocentrismo e a un para-qualunquismo.
Perché non ha mai parlato prima di queste sue teorie sull’esistenza umana?
Perché mi son sempre sembrati concetti talmente semplici da apparirmi stupidi. O, se vuole, talmente stupidi da sembrare troppo semplici. Cionondimeno ho prodotto dei testi su queste mie idee scellerate. Ma non li ho mai diffusi. Sono usciti in pochissime copie con lo pseudonimo di Giovanni Alberto, captato dal nome dei miei due Nonni. Comunque distribuiti con reticenza più o meno per caso. Sono testi che ho scritto per me stesso col solo intento di darmi delle risposte scritte. Infatti li ho fatti stampare solo in quanto continuavo a porre aggiunte e correzioni ai miei dattiloscritti. Si tratta comunque di concetti che ho espresso con onestà intellettuale, ma che non considero affatto degni di particolare attenzione e da destinarsi nel luogo indicato dalla mia Casa Editrice, che risponde al nome di “Rifiuti Editore”. Non la vedo ancora troppo preoccupato.
E perché dovrei esserlo?
Non pensa che quello che le ho detto somigli un po’ a un delirio?
Nient’affatto. Lo trovo, anzi, molto convincente. Posso farle una domanda un po’ personale?
Mi dica.
Lei è credente?
Io sono il laico più religioso del mondo. Però il mio credo non ha ovviamente nulla a che fare col trascendentale.
Per esempio?
Intanto ho sostituito la parola “Dio” con “Dimensione Superiore”. Inoltre colgo i dettami religiosi attraverso quanto ciò che prioritariamente rappresentano. Cioè un diretto rapporto col mondo naturale. I loro fondamentali sono comunque basilari e di enorme importanza dal momento che, anche se impaludati, cercano con perseveranza di riportare l’uomo a un’esistenza più vicina al creato, cioè l’ecosistema. Naturalmente, ben venga il cervello accumulativo ma anche, almeno dove si può, collegato con gli ecologici fini, cioè quelli provenienti dal cervello conduttivo. Come per esempio ci indicano i Dieci Comandamenti, che sono tutti più o meno parafrasati dal comportamento dei mammiferi in libertà.
Quindi, se ho ben capito, lei propone un ritorno alla natura, cioè al contatto dell’uomo col suo ambiente ecologico.
Sì ma un contatto solo in termini di consapevolezza di quello che siamo e da dove proveniamo, che ci può soprattutto servire in veste di bussola. Ciò ci potrebbe consentire di procedere in modo cosciente guardando alle grandi conquiste non con occhi bendati sul perché siamo riusciti a compierle.
Tutto ciò ci permetterebbe forse anche di formulare dei pronostici più attendibili sul futuro, in ogni contesto, fra cui quello politico-sociale.
In che senso?
Per assurdo siamo arrivati sino all’intelligenza artificiale senza ancora avere recepito quale sia l’origine del nostro quoziente intellettivo. A questo punto credo che lei dovrebbe essere sempre di più perplesso…
No, anzi…
Mi stupisce che lei si trovi a proprio agio negli Inferi.
Perfettamente direi.
Allora proseguendo in “chiave Belzebù”. Credo che prima di dibattere su qualsiasi argomento di natura politico-sociale, bisognerebbe non trascurare una premessa fondamentale di cui nessuno accenna. Ciò significa collocare ogni episodio della nostra vita, di quella di un popolo o di una nazione, arrivando fino a ogni confine della nostra presenza terrestre, nel più appropriato contesto. Un approccio che solo una specifica analisi del DNA sociale può chiarire.
Già cito il DNA sociale, ma si tratta di un termine non ancora impiegato, in quanto lo stesso può essere appropriatamente usato solo in chiave zoosociologica. Non volendo tediare i suoi lettori, aggiungo solo che anche l’opinione pubblica, e soprattutto i politici e “le toghe col martello”, potrebbero, attraverso questa via, se non modificare le loro opinioni, comunque elaborarle in modo più pacato e coerente.
In che modo?
Prendo ad esempio un caso quanto mai contingente per l’Italia e un altro quanto mai ad effetto, cioè la nostra entrata nell’euro e il “povero Weinstein”.
Partendo dall’euro, la nostra scelta di aderirvi è stata improntata zoosociologicamente dando più credito alla Divina Provvidenza anziché alla realtà politico-sociale del nostro Paese. Infatti, il nostro DNA sociale, è essenzialmente retto da due convergenti realtà storiche. Mi riferisco a quella dello Stato Pontificio, che per secoli ha guidato con sprezzo e improntitudine la sorte dei suoi cittadini. Roma è la capitale col maggior numero di palazzi nobiliari, a dispetto di un popolo lasciato nella totale indigenza.
A questo imprinting con l’unità d’Italia, si è affiancato, in dimensione tanto positiva quanto negativa, il DNA sociale del Sud, sottoposto, una volta cessato il suo periodo aureo, a scorribande e malversazioni da parte dei potenti. Un DNA sociale da “sole mediterraneo” che induce tanto i politici quanto gli elettori a ritenere che più o meno “tutto sia vietato e tutto sia permesso”.
Ciò si contrappone frontalmente in termini politici, finanziari ed economici al DNA sociale da “Paese freddo”. Intendiamoci: fra l’opzione della già citata para-calvinistico-luterana “il ne faut pas tricher” e quella “tutto è vietato e tutto è permesso” non saprei quale delle due scegliere.
Sta di fatto che improvvidamente e senza alcuna preparazione “scolastica”, entrando nell’euro, abbiamo scelto la prima. Mi sembra infatti inutile sottolineare che questa mancata attenzione nei confronti del nostro diverso DNA sociale rispetto a quello del Nord ha procurato e ci sta procurando ancora tantissime incertezze e sofferenze di ordine economico-sociale.
E il caso Weinstein come lo spiegano la Zoociologia e l’Anomalismo?
“Povero” beninteso solo in quanto il gran vociferare rappresenta un vertice di un bla bla bla e nonsensi. Un vociferare che si inerpica solo partendo da ragioni politico-cultural-social-emotive. Uno “star dietro alla notizia” che partirebbe con diversificate premesse, sempre che ciò si soffermasse pure sul piano zoosociologico. Questa disciplina, che poi non è altro che l’incontro simbiotico fra l’antropologia e l’etologia, si muove da una fondamentale premessa: che il creato, nel contesto dei mammiferi, ha previsto che sia la femmina a provocare istinti sessuali del maschio e non viceversa. Quindi anzitutto notare che queste ammaliatrici, nelle nostre artefatte società, non usano solo il profumo ma anche ben altri specchietti, quali minigonne, tacchi a spillo, ecc.
Pertanto, sempre che Weinstein non abbia “picchiato e legato”, non è in partenza un aggressore ma invece un aggredito e nel mondo dello spettacolo questo tipo di attacco è particolarmente diffuso. … Adesso è veramente sconcertato, mi dica la verità.
No, per niente.
Mi scusi ma a questo punto credo che la sua curiosità verso lo scellerato pensare abbia del tutto messo da parte il suo buonsenso, che fra l’altro fa parte del tradizionale corretto modo di ragionare.
Direi proprio di no. Posso farle un’altra domanda un po’ delicata?
Proceda pure.
Cos’è per Alberto Bolaffi la fede?
È la più grande e importante istitutrice che accompagna ogni popolo. La stessa cerca di guidare quell’anomalo quanto inaffidabile animale che è l’uomo verso una maggiore ragionevolezza ecologica.
Per riuscire in questo intento le varie religioni, pur rimanendo tutte, chi più chi meno, vicine all’ecologia, si sono individualmente inventate mille orpelli e artifizi. Ciò le ha condotte a convogliare i fedeli, verso un unico Dio e non un Dio unico. Se ciò fosse, da sempre ci sarebbero meno bassezze, meno violenze e soprattutto meno stragi.
In quest’ottica sarei probabilmente anch’io un fedele. Alla sua domanda infatti risponderei che la palestra morale che seguo – e vanno tutte bene, tanto quella ebraica, quanto cristiana, quanto musulmana, ecc. – mi ha portato a meditare, come sarebbe auspicabile all’unisono di tutte le altre, sul nostro imprevisto cervello accumulativo. Un dominio che grazie al nostro cervello accumulativo, ci consente di credere che la nostra presenza terrena, per mandato divino, dev’essere posta su un piano più differenziato e prominente rispetto a tutto quanto ci circonda sulla Terra. Tutto ciò ci fa dimenticare che questa nostra supremazia non ci è stata certamente concessa chiamatela pure da Dio, ma da un anomalo quanto degenerato e imprevisto caso genetico non contemplato dall’ecosistema.
Il Cav. del Lav. Alberto Bolaffi come definirebbe se stesso?
Come uno che ha sempre cercato di prendersi sul serio, ma non si è mai raggiunto. Dopo questa premessa in veste di chiosa, aggiungo che per mia serenità e onestà intellettuale, su quanto accennato e su tantissimi altri argomenti, ho già versato parecchio inchiostro e chissà che il tempo mi dia ancora l’opportunità d’intingere il calamaio per finire di scrivere “L’origine dell’uomo. Adamo ed Eva non previsti da Dio”.