-di GIULIA CLARIZIA-
28 maggio 1974. A piazza della Loggia, a Brescia, una bomba esplode durante un comizio anti-fascista provocando la morte di otto persone.
Lo stesso giorno ma nel 1980, Walter Tobagi, giornalista e scrittore, viene ucciso dalla Brigata XXVIII marzo, gruppo di estrema sinistra.
Due anniversari che mettono al confronto nella loro crudezza il terrorismo interno che ha segnato la nostra storia nazionale.
Due ideologie opposte che tuttavia hanno scelto la stessa arma, la violenza, per realizzare un obiettivo politico, per cercare una legittimazione.
Dal confronto dei due episodi emerge la grande differenza di strategia adottata generalmente dai gruppi di estrema destra e di estrema sinistra.
I primi si sono macchiati di stragi di vittime casuali, seppur la loro collocazione fosse studiata. È la strategia della tensione. La bomba di piazza della Loggia, attribuita ad esponenti del gruppo Ordine Nuovo, si inscrive esattamente nella volontà dell’estrema destra di seminare angoscia, destabilizzare la democrazia, rendere desiderabile l’instaurazione di un governo autoritario laddove lo stato democratico stava fallendo nel garantire sicurezza.
Dall’altro lato la complessa costellazione dei gruppi terroristici di sinistra in lotta contro uno stato traditore della Resistenza, contro un Partito Comunista venduto. Essi agivano per bersagli, per simboli. Volevano colpire il cuore di quello che ritenevano il marcio: giudici, politici, giornalisti come Walter Tobagi.
Egli aveva seguito assiduamente le vicende degli anni di piombo scrivendo sul Corriere della Sera. Il giorno prima di essere ucciso, aveva partecipato ad un convegno in cui si dibatteva sul caso di Fabio Isman, giornalista incarcerato per aver pubblicato su Il Messaggero estratti dell’interrogatorio del brigatista pentito Patrizio Peci. In quella sede, Tobagi rivendicava l’importanza della libertà di stampa e soprattutto della responsabilità del giornalista di fronte ad episodi come quelli del terrorismo che l’Italia conobbe in quegli anni.
L’iter giudiziario a seguito delle due vicende è stato molto diverso. Gli assassini di Tobagi furono identificati nel giro di pochi mesi e condannati, sebbene due di essi furono rilasciati dopo aver scontato tre anni di pena in quanto divenuti “collaboratori di giustizia”. Le loro confessioni hanno portato alla realizzazione di un maxi-processo in cui sono state tenute 102 udienze.
L’inchiesta per identificare i responsabili dell’esplosione a piazza della Loggia è ancora aperta. Sono passati quarantatré anni, durante i quali si sono susseguite svariate condanne e assoluzioni a vari livelli dentro le quali ci si perde. Nel 2015, Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte sono stati condannati all’ergastolo dopo l’annullamento di una loro precedente assoluzione in Corte d’Assise d’Appello. Nonostante ciò il caso presenta ancora dei punti oscuri, come la presenza testimoniata da una fotografia di Marco Toffaloni, ritenuto parte del gruppo di Ordino Nuovo.
L’ennesima strage dalle responsabilità ambigue i cui fascicoli affollano gli archivi della magistratura, e chissà se mai troveranno un’adeguata conclusione.
Riportiamo un estratto delle Motivazioni della sentenza di appello del tribunale di Milano del 10 agosto 2016: “Lo studio dello sterminato numero di atti che compongono il fascicolo dibattimentale porta ad affermare che anche questo processo, come altri in materia di stragi, è emblematico dell’opera sotterranea portata avanti con pervicacia da quel coacervo di forze […]individuabili con certezza in una parte non irrilevante degli apparati di sicurezza della Stato, nelle centrali occulte di potere che hanno prima incoraggiato e supportato lo sviluppo dei progetti eversivi della destra estrema e hanno sviato, poi, l’intervento della magistratura, di fatto rendendo impossibile la ricostruzione dell’intera rete di responsabilità. Il risultato è stato devastante per la dignità stessa dello Stato e della sua irrinunciabile funzione di tutela delle istituzioni democratiche, visto che sono solo un leader ultra ottantenne e un non più giovane informatore dei servizi, a sedere oggi, a distanza di 41 anni dalla strage sul banco degli imputati, mentre altri, parimente responsabili, hanno da tempo lasciato questo mondo o anche solo questo Paese, ponendo una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la mala-vita, anche istituzionale, dell’epoca delle bombe».