Il paradosso della reciproca distruzione assicurata per garantire la pace: la firma del trattato ABM

– di GIULIA CLARIZIA-

26 maggio 1972. Stati Uniti e Unione Sovietica, dopo diversi anni di trattative, firmarono il primo storico accordo per limitare i propri arsenali nucleari.

Dopo la crisi di Cuba, il gelo della guerra fredda si era attenuato con l’avvio di una fase di distensione internazionale, durante la quale le due super potenze aprirono le porte al dialogo riguardo la delicata questione delle armi nucleari. In questa occasione infatti, sia Washington che Mosca compresero quanto fossero andate vicine alla guerra nucleare totale. La corsa agli armamenti, avviata negli anni ’50 per affermare una superiorità ideologica, aveva condotto i due Stati alla creazione di ordigni molto più potenti di quelli usati nel secondo conflitto mondiale, e in una quantità sufficiente a distruggere più volte la civiltà umana.

Per questo motivo si decise dapprima di limitare i test nucleari nell’atmosfera (Limited Test Ban Treaty, 1963), poi di impedire la proliferazione nucleare (Non Proliferation Treaty, 1968), ed infine alla diretta limitazione dei sistemi di lancio nucleare (Strategic Armament Limitation Talks, 1972).

Il trattato SALT si componeva di due trattati separati: l’Interim Agreement, con il quale le due superpotenze accettavano di congelare il numero dei propri mezzi di lancio allo stato attuale nell’attesa di raggiungere un accordo definitivo; e il Trattato sui missili anti-balistici (ABM Treaty), con il quale venivano messi al bando, salvo le eccezioni da esso previste, i sistemi difensivi per contrastare i missili.

Proprio questa seconda parte merita un’analisi più approfondita: perché vietare la possibilità di difendersi dalle armi atomiche? Durante questa fase delle relazioni internazionali, la stabilità e la pace erano garantite dalla mutua distruzione assicurata (MAD). In caso di conflitto infatti, esso sarebbe stato così grave da non avere né vincitori né vinti. Proprio questa gravità, e questa certezza di distruzione per entrambi i contendenti, evitavano la guerra. Di fatto, la MAD era uno scambio di ostaggi: ogni superpotenza teneva in ostaggio la popolazione dell’altra, che non aveva la possibilità di difendersi.

Introdurre un sistema di difesa in questa equazione molto delicata avrebbe rischiato di destabilizzarla fortemente. Infatti, se uno dei due contendenti si fosse sentito al sicuro da un olocausto nucleare, avrebbe potuto dare inizio ad una guerra, questa volta con possibilità di vittoria.

Il trattato ABM, considerato uno dei più importanti della guerra fredda, vede la sua fine nel giugno del 2002 ad opera del Presidente statunitense George W. Bush. Gli Stati Uniti ritennero infatti che questo trattato fosse superato dagli eventi e che, anche a seguito degli attentati dell’11 settembre 2001, avessero bisogno di un sistema di difesa missilistico limitato per proteggere il suolo americano da lanci accidentali o attacchi da parte dei cosiddetti “stati canaglia” (Iran, Nord Corea, Iraq) o organizzazioni terroristiche (al-Qaeda). Ciò non avrebbe danneggiato, nell’ottica della Casa Bianca, l’equilibrio di potere con la Russia, alleato nella lotta al terrorismo, e con la Cina.

Oggi, se il Trattato ABM è stato denunciato, la logica del trattato SALT (e dei suoi successori) ha permesso una notevolissima riduzione degli arsenali della Russia e degli Stati Uniti. La questione principale però, è che la fine del sistema bipolare ha condotto ad un miglioramento dei rapporti tra l’est e l’ovest, ma anche alla nascita di nuovi attori (non necessariamente statali) in grado di giocare un ruolo di prim’ordine nello scacchiere internazionale. I recenti avvenimenti che hanno avuto come protagonista la Corea del Nord ne sono stati una dimostrazione.

 

 

 

giuliaclarizia

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