Il vero lato dell’economia: la riforma del patto di stabilità e crescita con l’UE

-di FRANCO CAVALLARI-

Nelle prossime settimane entrerà nel vivo la discussione in sede europea dell’allocazione alle varie azioni politiche delle risorse finanziarie dell’Unione per il periodo 2021-2028. In questa procedura è auspicabile che l’Italia possa essere presente almeno con un Governo che abbia l’autorevolezza di un Esecutivo “fiduciato” dal Parlamento. Tra le novità degne di rilievo, il progetto della Commissione propone una diminuzione del 5% della quota assegnata all’agricoltura. Si tratta di’ una contrazione che accentua leggermente la tendenza in atto da un paio di decenni, che ha visto ridursi sensibilmente il peso esorbitante che fin dall’origine ha avuto questo settore nella distribuzione delle risorse europee.

Se questo progetto fosse approvato “tel quel”, la nostra agricoltura subirebbe una certa penalizzazione, inferiore, comunque, a quella che subirebbe l’agricoltura francese.  Non dobbiamo, però, sottovalutare la circostanza che il progetto di bilancio pluriennale in discussione prevede anche uno stanziamento molto sostanzioso degli aiuti ai paesi che più dovranno sopportare il peso dell’immigrazione, come ad es. l’Italia; alla quale sarebbe destinato a questo titolo un volume di risorse probabilmente superiore a quelle che perderebbe la nostra agricoltura.

La questione dei tagli ai fondi dell’Agricoltura riguarda un volume di risorse abbastanza modesto e non deve impedirci di prestare la dovuta attenzione al calendario dei lavori dell’Unione, ove si avvicinano appuntamenti ben più importanti. Intanto nel prossimo mese di giugno vi sarà un incontro tra la Cancelliera Merkel ed il Presidente Macron per una prima discussione del progetto presentato dalla Commissione in materia di riforma del “patto di stabilità e crescita” e per il completamento del riassetto bancario. Il relativo negoziato, presumibilmente lungo e difficile, proseguirà poi nel corso dell’anno, per concludersi con una riforma dell’intelaiatura generale dell’Eurozona, da sottoporre all’approvazione del Parlamento Europeo.

Il contributo dell’Italia a questo negoziato è essenziale, non solo per i nostri legittimi interessi, ma anche per l’equilibrio tra i vari Paesi relativamente agli accordi che ne scaturiranno. Certamente non saremo assenti in questa procedura, come sarà per l’incontro Macron-Merkel di fine giugno, ma rischiamo di avere un peso marginale a causa della posizione “euroscettica”, e finora quanto mai ondivaga, assunta dal 70% delle forze politiche uscite dalle elezioni del 5 marzo.

La tendenza ad escludere il nostro Paese dai lavori preparatori di questo negoziato non è proprio recente: già negli ultimi mesi dell’anno passato, un gruppo di lavoro composto di sette esperti tedeschi e sette esperti francesi (il cosiddetto Gruppo 7+7) ha elaborato un progetto concernente di riforma dei meccanismi e degli strumenti dell’Eurozona. Gran parte delle conclusioni scaturite da questi lavori, un   miscuglio abbastanza ambiguo e lacunoso di concezioni contrapposte (la francese e la tedesca), è stata ripresa nella proposta di riforma presentata dalla Commissione a cui abbiamo accennato.

Le novità istituzionali del progetto, per sua natura complesso e articolato,  possono essere così sintetizzate: a) istituzione di un Fondo monetario europeo (EMF) in sostituzione dell’attuale Fondo “salvastati”; b) completamento della riforma bancaria con la garanzia europea dei depositi; c) una complessa regolamentazione, non poco macchinosa, che ignora completamente la revisione dei  parametri riguardanti il rientro del debito in eccesso, questione  in cui il nostro Paese è fortemente interessato. In ogni caso, si tratta di trasformazioni “di superficie”, prive del “respiro politico”, che solo precisi orientamenti convergenti delle forze politiche dei vari Stati membri possono imprimere a trasformazioni epocali così importanti per il futuro dell’Unione.

Trovare un equilibrio qualificante nelle profonde trasformazioni in discorso richiederà una linea di compromesso tra gli orientamenti politici dei vari Paesi membri che sia in grado di recepire le esigenze emergenti dalle diverse impostazioni politiche. In sintesi, troviamo, da un lato, la concezione “minimalista”, facente capo alla Germania ed ai Paesi nordici, incentrata fondamentalmente su regole rigorose, attente a salvaguardare soprattutto gli interessi nazionali e, dall’altro lato, la concezione “solidarista”, attenta alle esigenze di sostegno solidale alle riforme “virtuose” volte alla soluzione dei problemi economici e finanziari dei Paesi mediterranei, facente capo alla Francia e all’Italia.

Allo stato attuale, le forze politiche in campo sembrano indicare che le spinte verso riforme di grande respiro abbiano perso vigore. L’asse franco-tedesco, su cui si fondava il rafforzamento dell’Unione, sta tentando un rinvigorimento attraverso l’attività dei suoi leader, ma, considerata la situazione politica dei due paesi, non appare in grado di fare quel salto di qualità necessario ad un  accordo soddisfacente per una riforma sostanziale di questa portata; peraltro, è mancato per troppo tempo (e forse mancherà ancora) il contributo politico da parte del terzo grande Paese fondatore, essenziale alla costruzione di nuovi e duraturi equilibri economici nell’Unione.

In realtà, le proposte di Macron hanno perso incisività anche all’interno della politica francese, tenuto conto della mai risolta posizione francese orientata alla costruzione di uno Stato Federale. E anche la proposta francese di un Ministro delle finanze dell’Eurozona con il compito di impostare e sovraintendere all’esecuzione del bilancio ha trovato tiepida accoglienza in Germania e a Bruxelles.

Per quanto riguarda la Germania, secondo la posizione di molti politici e dell’opinione pubblica in materia di riforme europee l’istituendo Fondo Monetario Europeo dovrebbe essere considerato come un’istituzione indipendente, analoga alla Banca Europea per gli Investimenti e alla Banca Centrale Europea; vale a dire in forme che escludano un ruolo preminente della Commissione Europea. Il Bundstag stesso, ha votato più di una risoluzione nella materia, ribadendo che gli interventi di stabilizzazione economica dei paesi: devono essere subordinati “all’accordo di un programma di riforma e di adeguamento a condizioni rigorose” e che “ il Bundestag tedesco deve rimanere il luogo in cui vengono prese decisioni autonome sulle entrate e le spese relative alle passività derivanti dal pagamento dell’assistenza di stabilità ad altri Stati membri”.

In completa sintonia con le posizioni tedesca, 8 Ministri delle finanze del “fronte del Nord” (Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Olanda, spalleggiati da Danimarca e Svezia) si sono espressi recentemente a favore di una linea chiaramente “minimalista”, respingendo decisamente i grandi cambiamenti: “il nostro principio guida è che l’assunzione di rischi da parte di uno Stato membro deve andare di pari passo con la responsabilità di tale Stato. Le sovvenzioni sono concesse solo in condizioni rigorose”.

Se consideriamo il quadro delle difficoltà che impediscono di procedere con decisione verso una riforma solidale dell’Eurozona, lo spazio per riforme di grande portata appare assai limitato, mentre la posta in gioco resta molto alta e potrebbe interessare anche la sopravvivenza stessa dell’Unione. Malgrado ciò, non è affatto realistico indulgere al pessimismo, perché esistono anche elementi che inducono ad una ragionevole speranza. Intanto non è irrilevante la circostanza che ultimamente la Francia abbia invitato l’Italia e la Spagna ad associarsi strettamente al lavoro in corso con la Germania, onde arrestare l’indebolimento degli obiettivi qualificanti della riforma dell’Eurozona.

Il progetto di un’Europa politicamente solidale ha una portata epocale e, nonostante le sconcertanti fluttuazioni politiche dei Paesi membri, le prospettive di lungo periodo della Nuova Europa, magari a struttura federale, conservano il “respiro secolare” dei grandi disegni storici. Forse i tempi saranno più lunghi del previsto, ma le forze politiche e l’opinione pubblica dei Paesi membri, memori del dividendo della pace assicurato per 70 anni ai cittadini europei, finiranno per comprendere che fuori da un’Europa solidale, il nostro continente è destinato all’irrilevanza. Che ne sarebbe di uno spazio continentale alla deriva nel contesto globalizzato del mondo moderno in cui fluttuano Stati nazionali governati dal sovranismo populista, capace di garantire ai rispettivi popoli solo gli stenti economici e le barriere doganali protettive degli inevitabili contrasti commerciali?.

 L’esperienza delle prime delusioni darà modo ai nostri popoli (possiamo ragionevolmente sperarlo) di maturare la consapevolezza che i legittimi interessi delle nazioni possono trovare accoglienza e divenire diritti all’interno  di un assetto più equilibrato dell’Unione rinnovata, in grado di stemperare i ciechi egoismi nazionali e di assicurare al nostro continente adeguata rappresentanza a livello mondiale e agli Stati membri la protezione della solidarietà comunitaria.

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