Rodotà e il suo modo di “Vivere la democrazia”

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

È quasi un anno che Stefano Rodotà ci ha lasciato. Se ne è andato con grande discrezione e, c’è da dire, in modo inatteso. In pochi sapevano che fosse malato e che stesse combattendo da tempo contro una malattia che piagava il suo corpo, ma certo non il suo spirito e la sua mente, sempre così vivace e vorace di sapere cosa stesse accadendo nel nostro tempo. Qualche giorno dopo la sua scomparsa, la figlia Maria Laura su Facebook ha scritto un post nel quale ringraziava tutti coloro che avevano aiutato il suo papà a vivere (non morire!) la sua vita fino al suo limite estremo con dignità e coerenza: valori da sempre ricercati, inseguiti e incarnati da Rodotà.

Una voce, la sua, che ci manca. Un silenzio eccessivamente lungo che ancora non ha trovato qualcuno in grado di poter far esclamare: “Ecco una persona alla sua altezza”. Manca quel tono professorale, ma mai pedante e noioso, di esporre i concetti; quella garbata educazione nell’esprimere i suoi punti di vista con convinzione e talvolta anche con diplomatica veemenza, lasciando gli interlocutori disarmati di fronte a tanta gentilezza accompagnata sempre da fermezza e convinzione di pensiero ed etica.

Chi non ha avuto modo di conoscere personalmente, o tramite mass-media, Stefano Rodotà, può farlo ricorrendo alla rete, intercettando le migliaia di video con lui protagonista. Oppure, meglio ancora, può concedersi il piacere di leggere qualche suo libro. Ne trarrà un piacere che è raro riscontrare nella lettura di testi giuridici che, come è noto, sono scritti in modo così stereotipato e senza respiro di frase e periodo al punto da scoraggiare i lettori più tenaci e affamati di sapere. Lo scrittura di Rodotà, invece, è rigorosa ma piena di luce; ben controllata ma con un certo piacere nel divagare, per il gusto di osservare dove potessero condurre un’idea o un’intuizione. E l’altro elemento notevole nel magistero scientifico di Rodotà, sta nel non aver voluto a tutti i costi imbrigliare il diritto – come materia di studio – nell’alveo secco e stinto dello specialismo. Del resto, basta chinarsi sull’imprescindibile Il diritto di avere diritti e scorrere le note a piè di pagina per osservare citati studi di storia, filosofia, letteratura, sociologia, teologia, politologia. Con Rodotà, il diritto diviene strumento di interpretazione e comprensione del mondo, oltre che metodo per cercare di dar forma ad una società, per riprendere la fortunata metafora di Bauman, eccessivamente liquida.

Quel silenzio che Rodotà ha lasciato dietro di sé e su di noi a seguito della sua scomparsa, oggi è rotto grazie alla pubblicazione di un libro che raccoglie gli ultimi testi cui egli ha posto mano: Vivere la democrazia (Laterza, 152 pagine, Euro 15,00). L’editore avverte che è un volume cui manca l’introduzione e quella supervisione meticolosa e certosina di correzione e raccordo fra i vari scritti: elementi caratteristici dell’autore. Purtroppo, Rodotà non ha fatto in tempo a dare il suo tocco finale alla sua ultima fatica letteraria. E però desiderava che questi scritti venissero pubblicati e conosciuti da un ampio pubblico.

È vero che l’Italia è un paese diventato sempre più scarso in cultura (giuridica e non solo). Ma è anche vero che basta dare uno sguardo all’indice del libro per divenire più sensibili e percettivi ad alcune dinamiche e a certe realtà sociali e tremendamente urgenti da comprendere. Ovvero: l’identità, la dignità, il diritto al cibo, i beni comuni e il postumano. Non sono semplicemente topoi o argomenti da esaminare, ma appelli a riflettervi con una certa cura e delicata attenzione.

Anche in quest’ultimo lavoro, la riflessione di Rodotà pone come suo punto cardine il diritto: cos’è, cosa può voler dire per l’uomo e in che modo, oggi, possa venire declinato sul piano concettuale e – successivamente – applicato nella vita di tutti i giorni. A tale impostazione di pensiero, egli è giunto non solo per vie accademiche, ma soprattutto attraverso il suo impegno politico e nel sociale. Gli anni trascorsi da parlamentare, da componente del gruppo europeo per la tutela della privacy, da presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali e – infine – da membro degli autori della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, hanno contribuito a sviluppare e a meglio delineare, in Rodotà, il concetto di persona sotto il profilo della teoria contemporanea del diritto.

Uno dei concetti chiave che domina e permea questo bellissimo lavoro, è quello di autodeterminazione della persona. In base a cosa? Alle scelte, ad esempio, relative alla sua dignità; alle cure mediche (se accettarle o rifiutarle); alla possibilità di mantenere il cognome del padre o di associarlo anche a quello della madre (elemento, quest’ultimo, che concorre ad arricchire la formazione di una identità meno univoca e monolitica che in passato); a decidere – per sé – come vivere anche nell’atto estremo e conclusivo dell’esistenza (la morte), percorrendo una via di etica di rispetto persino nell’occasione poco piacevole, e ancor meno fortunata, di una malattia. A tutto ciò, si aggiunga il concetto dei beni comuni: quei beni, cioè, che debbono essere a disposizione di tutti affinché chi ne ha bisogno possa disporne per condurre un’esistenza dignitosa per sé e per gli altri. Come raggiungere tale condizione? Certamente attraverso un arricchimento del grande e mobile panorama dei diritti fondamentali, includendo in esso la persona con tutto ciò che la riguarda sul piano dell’esistenza: creando, perciò, le condizioni affinché ciò si realizzi e al meglio.

Sono solo alcuni brevissimi accenni, questi appena riportati. Che si legga questo libro di Rodotà. Che sia spunto di profonde riflessioni. È da ritenersi, e giustamente, il suo testamento spirituale e, al contempo, un viatico per affrontare il pensiero e l’opera di un grande giurista che, come lui stesso amava definirsi, è stato a tutti gli effetti un custode del diritto. Oltre ad essere una delle rare persone coerenti – con se stesse e i principi che hanno motivato le sue azioni – che il panorama culturale e politico-istituzionale italiano hanno fatto la grazia di donarci da un abbondante trentennio a questa parte.

 

 

 

pierlu83

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