-di FRANCO CAVALLARI-
La polemica relativa all’efficacia della progressività quale strumento di redistribuzione del reddito si ripresenta periodicamente al dibattito degli studiosi di Finanza Pubblica. Negli ultimi tempi, alcuni economisti dell’area conservatrice hanno riproposto il problema nell’ambito del progetto relativo all’imposta ad “aliquota unica” presentato dalla destra in sostituzione dell’IRPEF e dell’IRES; è significativa la circostanza che, anche secondo questa impostazione, un certo grado di progressività del prelievo resterebbe comunque, ma sarebbe ottenuto attraverso l’applicazione di un abbattimento del reddito imponibile, una specie di “no tax area” per i redditi più bassi. In tempi più recenti, anche altri economisti, diciamo “di sinistra” (A. Pedone. N. Rossi, M. Marè), hanno sollevato rilievi critici nei confronti della progressività per aliquote differenziate, quasi a dimostrare che il prelevo tributario articolato secondo la “capacità contributiva” è uno strumento obsoleto, come dice A. Panebianco: “un retaggio delle ideologie socialisteggianti del XIXmo e del XXmo secolo”.
Nel contesto di questo dibattito, si è inserito, nel luglio scorso, un progetto complessivo di riforma fiscale coordinato da Nicola Rossi a nome dell’Istituto Bruno Leoni (IBL). Un progetto che contempla un’unica aliquota al 25%, non solo per l’IRPEF e per l’IRES, ma anche per tutte le altre imposte (IVA, imposte sostitutive, sulle donazioni ecc). Si tratta di un sistema, definito “flat rate tax”, molto articolato nel quale, oltre a una “no tax area”, sono previsti, in sostituzione delle prestazioni sociali del nostro zoppicante sistema sociale attuale, anche sgravi e agevolazioni proporzionate alla situazione familiare dei contribuenti, tra le quali spicca una sorta di “imposta negativa” per i più bisognosi (simile a quella proposta da Milton Friedman), volta a garantire un “minimo vitale”.
Questo “sistema tributario”, fortemente criticato da quasi tutti gli osservatori, presenta moltissime criticità e introdurrebbe nei meccanismi fiscali distorsioni ancora maggiori di quelle che si propone di eliminare. Per limitarci a qualche osservazione, rileviamo che, malgrado i correttivi, questo sistema presenta l’inconveniente di favorire (ancor più della “flat tax” proposta dal centro-destra) i redditi più elevati, a discapito della classe media e dei redditi medio-bassi. Inoltre, esso implicherebbe l’abbandono della politica sociale selettiva attuata in Italia, tra alti e bassi, negli ultimi decenni per mezzo di (ammortizzatori sociali, politiche attive dell’occupazione, reddito di inclusione ecc.), proponendo in cambio di un’indimostrata maggiore efficacia sociale dei trasferimenti monetari; senza contare poi, l’”effetto recessivo” sull’economia e l’accresciuto “grado di regressività” del prelievo, correlati all’aumento di gettito derivante dall’unificazione delle aliquote IVA al 25% (circa 80 Mld); effetti di rilevante portata, entrambi difficili da compensare con calibrati trasferimenti monetari.
Ragionando sulla progressività per scaglioni dell’IRPEF attuale, si deve ammettere che la situazione di fatto di questa imposta, lascia campo a molte critiche e che occorrerebbe ridisegnarne il profilo in forme più semplici, superando la stratificazione di norme accumulatasi nel tempo; una riformulazione che tenga conto dell’esigenza di alleggerire la pressione fiscale sui redditi del ceto medio, di realizzare la progressività del prelievo su tutti i redditi (e non solo sui redditi da lavoro dipendente e da pensione), nonché di ridisegnare la progressività nel “continuo” con una nuova “curva di aliquote medie”, come avviene in Germania, in cui a ciascun livello di reddito corrisponde una sola aliquota da applicare.
Sul piano generale, non è difficile dimostrare che la progressività realizzata con le deduzioni di imponibile o con le detrazioni di imposta da inserire nella “flat tax”, oltre a favorire, come accennato, i redditi più elevati a discapito della classe media, risulta molto più rigida in quanto rende particolarmente difficile calibrare gli “abbattimenti” necessari per ottenere l’impatto desiderato.
Tra i problemi che pone il ridisegno della progressività delle aliquote per l’imposta sui redditi, una certa rilevanza hanno i limiti costituzionali che questo principio incontra in Italia. Questi aspetti sono stati ben evidenziati in tempi passati dagli studi della “Scuola di Pavia” di B. Griziotti e dalle analisi di F. Forte e di F. Gallo, che postulano l’esigenza di trovare il difficile equilibrio tra il principio costituzionale della progressività ed i princìpi generali che prescrivono di “non intaccare, sia le spese private necessarie per la vita del cittadino, sia il risparmio e l’efficienza della produzione privata”.
Sul piano applicativo, per quanto equilibrato possa essere il nuovo progetto di imposta progressiva che si intende adottare, va rilevato che, nei Paesi in cui coesistono un groviglio di formazioni oligopolistiche e diffusissime incrostazioni corporative, tende a svilupparsi una molteplicità di posizioni dominanti nel mercato. E’ il caso dell’Italia, ove questo grave impedimento al corretto svolgimento della libera concorrenza rappresenta il presupposto di una “traslazione selvaggia” delle imposte. In effetti, nel caos della “giungla corporativa” che caratterizza il nostro Paese, i coefficienti della complessa matrice del “potere contrattuale” dei singoli contribuenti che presiede al meccanismo della “traslazione”, risultano fortemente alterati dalle distorsioni esistenti nel mercato. In pratica, si produce un effetto “a cascata”: ciascun soggetto “percosso” dall’imposta riesce a trasferirne una quota su altri soggetti aventi minore “forza contrattuale”, subendo, a sua volta, in base ai rapporti di forza relativa, la “traslazione” di una quota dell’onere sorto in capo ad altri contribuenti. Il carico tributario si distribuisce, così, tra i contribuenti “incisi” in modo del tutto incontrollato e, comunque, in favore dei soggetti che hanno maggiore potere contrattuale nella società.
L’esperienza storica di alcuni Paesi, come ad esempio quelli scandinavi e gli Stati Uniti nel periodo del New Deal, ha confermato che, ove esistono efficaci norme antitrust ed organi di vigilanza in grado di impedire la costituzione di “oligopoli” e di “corporativismi”, l’imposizione progressiva adempie egregiamente, insieme ad altri strumenti, la sua funzione economica e sociale di redistribuzione dei redditi. In ogni caso, anche con tutte le imperfezioni di funzionamento che presenta attualmente in Italia, la progressività del prelievo dell’IRPEF assolve ancora, sia pure parzialmente, una parte non irrilevante della “funzione redistributiva” dello Stato, contribuendo ad attenuare le grandi diseguaglianze esistenti.
Per quanto si riferisce all’esigenza di una severa “legislazione antitrust” in Italia, provvedimenti che inizino a metter mano al problema appaiono non più rinviabili, anche perché l’affrancamento dalla morsa corporativa degli oligopoli è indispensabile al rilancio dell’economia italiana.