-di MARICA SALVITTI-
Oggi, 19 marzo, San Giuseppe, il mio ricordo va a Tamburrano, con il quale ho condiviso per tanti, tanti anni ideali e sogni. Ricordo gli auguri laici che, a prima mattina ero solita fargli nelle lunghe chiacchierate tra il sacro e il profano che ne scaturivano.
Ho avuto il piacere di lavorare a lungo con Giuseppe ed oggi, nel giorno del suo onomastico, mi fa piacere ricordarlo con tanto affetto.
Il mio primo incontro con Giuseppe Tamburrano risale ai prima anni Novanta quando, avendo avuto notizia che, in qualità di Presidente della Fondazione Nenni, il professore aveva necessità di trovare un insegnante che, grazie all’istituto del comando, potesse collaborare con lui.
Mi sono presentata per proporre la mia disponibilità.
Avevo seguito con interesse la polemica sorta alla pubblicazione del suo libro ”Antonio Gramsci” e l’avevo trovata pretestuosa se non vergognosa.
Gli espressi i miei pensieri liberamente e mi sentii del tutto a mio agio.
Parlammo a lungo di politica, di storia e soprattutto dell’impegno che la Fondazione Nenni acquistasse sempre maggior visibilità nel panorama degli Istituti di cultura.
Da quel momento Giuseppe Tamburrano è divenuto un amico carissimo per me e la mia famiglia e si è creato un legame profondo cementato dal lavoro comune che è durato oltre vent’anni.
In Fondazione chiamavamo Giuseppe il ”Boss” per evidenziare come, nella quotidiana frequentazione, mai aveva dimostrato di voler esercitare un qualsiasi potere anche quando sorgevano divergenze di vedute che si dissolvevano in poco tempo sia che ci dimostrasse di aver ragione sia che ammettesse un suo errore.
”Miserabile” era per Giuseppe il massimo dell’insulto, l’espressione più cattiva della sua disapprovazione per il comportamento di alcuni con cui si scontrava spinto dalla sua profonda onestà intellettuale e dalla sua moralità.
La sua battaglia in difesa della onorabilità di Ignazio Silone è stata combattuta con un impegno che ha superato tutte le critiche, tutte le obiezioni in nome di una verità ricercata in maniera seria e competente ovunque potesse trovare elementi in difesa della correttezza dello scrittore abruzzese.
Giuseppe non era solo uno storico ma anche uno scrittore. Sapeva leggere i fatti e le persone nella loro profondità e li raccontava con un linguaggio accattivante e persuasivo. Detestava i luoghi comuni e le forme del dire modaiolo: non potevamo mai definire ”chicca” una nostra scoperta quando in un Archivio o tra le carte che studiavamo si trovava una notizia nuova, poco studiata, inedita.
La sua cordialità si esprimeva soprattutto con i giovani ricercatori ai quali non ha mai negato consigli ed aiuti. Molti di questi oggi sono titolari di cattedra in discipline storiche e il loro legame con la Fondazione non è mai venuto meno perché Giuseppe ne aveva fatto un luogo aperto e accogliente dove si è lavorato e prodotto molto e dove la disponibilità del presidente avvolgeva tutti.
Ciao Giuseppe.