Centonove anni fa il terremoto che cancellò Messina

-di VALENTINA BOMBARDIERI-

28 dicembre 1908. 37 secondi in cui la terra tremò. Così forte da distruggere l’intera città di Messina e gran parte di Reggio Calabria. Erano le 5.21 del mattino quando il terremoto colse nel sonno più di 1000 mila persone che purtroppo non sopravvissero. Con un’intensità difficile da dimenticare: una magnitudo di 7.1 gradi della scala Richter e un’intensità pari all’XI grado della scala Mercalli.

L’epicentro del sisma fu molto esteso e causò un maremoto con onde che raggiunsero i dieci metri di altezza. Lo tsunami in questo caso provocò molte vittime, fra i sopravvissuti che si erano ammassati sulla riva del mare, alla ricerca di un’ingannevole protezione. Improvvisamente le acque si ritirarono e aggiunsero morte ad altra morte. Il villaggio del Faro a pochi chilometri da Messina andò quasi integralmente distrutto. La furia delle onde spazzò via le case situate nelle vicinanze della spiaggia anche in altre zone. Le località piu’ duramente colpite furono Pellaro, Lazzaro e Gallico sulle coste calabresi; Briga e Paradiso, Sant’Alessio e fino a Riposto su quelle siciliane.

Messina fu la città più danneggiata, con circa il 90% degli edifici completamente distrutti e gravi perdite in termini di vite umane. Su 140.000 abitanti ne morirono 80.000. Reggio Calabria fu seconda città a pagare il prezzo più alto, con danni ingentissimi e la morte di 15.000 persone su una popolazione totale di 45.000 abitanti. Altre 25.000 vittime, circa, si riscontrarono in molti comuni vicini all’epicentro, sia in Sicilia che nella Calabria meridionale.

Racconterà una testimonianza, quella di Antonietta Lipori sul Messagero: “Noi dormivamo ancora e a un tratto fummo svegliati dal tremore dei vetri e dal letto fummo sbalzati subito a terra. Pioveva a dirotto il cielo era nerissimo. Tutti in famiglia ci mettemmo a gridare, mentre da ogni parte altre voci invocavano “Aiuto!”. Un brivido di morte ci fece tremare per qualche minuto. L’armadio della nostra camera da letto cadde con gran fracasso. Fuggii in camicia come una pazza seguendo mio fratello e mia sorella; ma sulla via ci perdemmo. Trovai altri che fuggivano e gridavano, mentre sulle vie cadevano balconi, muri, finestre e l’acqua era tanta che affondavamo fino alle ginocchia. Verso la marina il fango era enorme. Il mare mugghiava sinistramente; la passeggiata era tutta un lago. Come giunsi al porto non so: fui spinta da urti, da braccia ignote e da ignota forza. Mi sentivo correre dietro la morte. Temevo di soccombere, di cadere, di essere travolta nella fanghiglia, nell’acqua: Mio Dio, qual terrore!”.

Il terremoto di Messina fu un’emergenza senza precedenti che mobilitò per la prima volta una rete di solidarietà nazionale e internazionale che accompagnò il Governo nell’opera di ricostruzione. Russi e inglesi si fecero onore nell’opera di salvataggio. I primi in particolare, divisi in squadre, nel giro di poche ore riuscirono ad da estrarre dai cumuli di macerie persone ancora in vita.

Oltre ai numerosi morti 100 mila furono gli sfollati a cui fu necessario prestare soccorso che vennero poi trasferiti nelle maggiori città italiane. Le operazioni di ricostruzione giunsero a termine, complice la Prima Guerra Mondiale, solo nel 1932.

Quasi 110 anni dopo la Sicilia e la Calabria, come molte zone dell’Italia sono paralizzate dal fatalismo. La scienza geologica è chiara: la terra tremerà di nuovo. Ma il nostro Paese non è pronto a convivere con i terremoti in sicurezza come avviene in altre parti del mondo, basti pensare al Giappone. Siamo un Paese di fatalisti. Nessuno crede mai che possa toccare a lui. Nessuno in Italia fa i conti con il fatto che i terremoti arrivano, più o meno puntuali. Appartengono per noi ancora alla categoria dell’imprevedibile. Imprevedibile nel momento forse sì ma nelle conseguenze potremmo dire di no.

Valentina Bombardieri

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