-di MAURO MILANO-
Madrid, 27 dicembre 1978. L’aula del Congresso è gremita, al banco della presidenza c’è il re Juan Carlos I, 40 anni. È il momento più importante della legislatura, e – forse – della Storia della Spagna contemporanea. La sanción, la firma del Capo dello Stato, che promulga la Costituzione. Approvata dai due rami del Parlamento il 31 ottobre e confermata dal popolo con referendum il 6 dicembre (da allora festa nazionale), la nuova Carta sarà in vigore dal 29 dicembre. Il monarca firma, viene applaudito, pronuncia un discorso solenne. Dopo secoli di re assoluti con qualche tentativo liberale senza successo, una parentesi repubblicana breve, travagliata e violenta, tre anni di sanguinosa guerra civile, quasi quaranta di dittatura e tre di transizione, la democrazia. La Spagna è una monarchia costituzionale, da 38 anni.
Il “generalísimo” Francisco Franco era morto all’alba del 20 novembre del 1975, o la sera del 19.
Quella mattina d’autunno gli spagnoli si svegliavano senza più il dittatore, ma con tutto il resto del regime ancora lì. C’è voglia di pace, ma anche di libertà. I franchisti davano al generalissimo il merito del lungo periodo di pace e di crescita economica, dopo la fame del dopoguerra. E c’è anche un sentimento di paura diffuso. Ci sono ancora tanti oppositori – e terroristi – in galera, i giovani, gli operai, i repubblicani, le realtà locali, mai tollerate dal regime, vogliono il cambiamento. Chi ha vissuto la guerra civile ne teme un’altra. Le “due Spagne” in lotta da decenni, una molto conservatrice e l’altra rivoluzionaria, potrebbero scontrarsi di nuovo. Ma intanto il cammino verso la democrazia, all’insegna del compromesso, inizia.
Il sovrano ha ereditato i poteri del dittatore, ma si fa animatore della democrazia. Anche la Chiesa appoggia il cambiamento. Il governo viene dato ad Adólfo Suárez (nato nel 1932), uno dei volti più giovani e “aperturisti” della Falange. Arrivano la legge sulla libertà d’espressione e sindacale, vengono legalizzati tutti i partiti, anche quello comunista. Il 15 giugno del ’77 si vota per il parlamento costituente. Vince la coalizione centrista, guidata dallo stesso Suárez, secondi i socialisti del PSOE. Sette parlamentari esperti vengono incaricati della stesura di un progetto costituzionale. Sono centristi, socialisti, rappresentanti della minoranza catalana, comunisti. Le “due Spagne” collaborano, c’è una prima amnistia per i reati politici, e un’altra che fa uscire anche tutti i terroristi dalle carceri. Ma il terrorismo – di Destra, di Sinistra e separatista basco – non si ferma, come non si ferma l’agitazione sociale. Non si raggiunge un accordo con i leader dei due popoli che, prima che spagnoli, si sentono baschi e catalani. Tra di loro parlano un’altra lingua, mantengono viva la loro identità e neanche troppo in sordina gridano all’indipendenza da Madrid. Il partito socialista obrero a un certo punto sembra opporsi al progetto di Costituzione, ma alla fine l’accordo arriva.
Il re, trentanove anni fa, firma una costituzione che prevede un parlamento bicamerale, in carica quattro anni. Un Congresso che esprime il governo e un Senato in parte elettivo e in parte no, con poteri diversi. Si cerca un compromesso territoriale creando le “Comunità Autonome”, subordinate allo Stato. Anche la legge elettorale proporzionale cerca l’equilibrio tra i partiti locali e quelli nazionali e cerca di dare rappresentanza e governabilità. Il Presidente del Gobierno è nominato dal re se investito dal Parlamento: sono previste due votazioni, la prima a maggioranza assoluta e la seconda a maggioranza relativa che permette anche un governo di minoranza. Se non si riesce a formare un governo si deve tornare a votare. In Spagna i partiti maggiori fanno un patto con partiti minori per l’investitura, per appoggi esterni o astensioni. C’è stata sempre alternanza (5 anni di centro, 21 di centrosinistra, 14 di centrodestra) e mai un governo di coalizione. La legge elettorale e la Costituzione del ’78 hanno dato fino al 2015 un sistema politico piuttosto stabile. Sei primi ministri in quarant’anni: nello stesso periodo la Germania ne ha avuti 5, la Gran Bretagna 7, l’Italia ha avuto 28 governi. Sono stati cambiati solo due dei 169 articoli, per adeguare la Spagna alle direttive dell’UE.
Ma dagli anni ’10 del nuovo millennio, tra la crisi economica e un indipendentismo catalano sempre maggiore (ma non violento), tutto ha iniziato a scricchiolare. Quest’anno, la frammentazione politica, la procedura costituzionale dell’investitura al governo e il sistema elettorale – e anche altri fattori – hanno prodotto uno stallo politico senza precedenti. Il paese ha rischiato tre elezioni generali in un anno. Intanto il parlamento catalano ha avviato un processo unilaterale d’indipendenza, non riconosciuto. Una benevola astensione socialista ha dato il via al nuovo governo conservatore di Mariano Rajoy. Si sta iniziando a parlare di progetti di riforma. Si discute sulla Costituzione, ma non sulla pace e sulla democrazia.
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