-di MAGDA LEKIASHVILI-
La decisione politica di Donald Trump sfida tutti i suoi oppositori, riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Scelta necessaria per portare avanti il processo di pace – dice il presidente statunitense – aggiungendo che, mentre i suoi predecessori hanno fatto di questo solo una promessa per la campagna elettorale, lui porta al termine la proposta. Il dipartimento di stato americano inizierà immediatamente il processo per attuare il trasferimento dell’ambasciata degli Stati Uniti in Israele da Tel Aviv.
“Il mio annuncio segna l’inizio di un nuovo approccio al conflitto tra Israele e i palestinesi. Ho giudicato questa linea d’azione nel migliore interesse degli Stati Uniti d’America e nel perseguimento della pace tra Israele e i palestinesi. Israele è uno Stato sovrano e ha il diritto di determinare la propria capitale. Gerusalemme è sede del governo israeliano, casa del parlamento israeliano, così come della Corte Suprema, della residenza ufficiale del premier e di quella del presidente. Quindi è il quartier generale di tutte le istituzioni e dei ministeri”- afferma nel suo discorso di circa cinque minuti Donald Trump.
Una decisione che dà seguito alla legge statunitense del 1995 in cui Gerusalemme veniva riconosciuta come capitale di Israele, ma che finora è stata rinviata di sei mesi in sei mesi dai presidenti Usa, proprio per l’importante valore geopolitico di questa affermazione. Sembra che gli Stati Uniti siano rimasti fedeli alla soluzione dei due stati (two-state solution), progettata per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese ed è l’ipotesi dell’accordo che è in discussione da parte degli attori chiave del conflitto, discussa soprattutto durante la conferenza di Annapolis del novembre 2007. Secondo tale ipotesi la soluzione dell’ormai storica guerra risiederebbe nella creazione di due Stati separati nella parte occidentale della Palestina storica, uno ebraico e l’altro arabo. In tale proposta agli arabi residenti in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza verrebbe data la cittadinanza del nuovo Stato palestinese, cosa che verrebbe offerta anche ai rifugiati palestinesi; per quanto riguarda gli arabi residenti in Israele verrebbe loro data l’opportunità di scegliere quale tipo di cittadinanza avere: israeliana o palestinese.
La città santa è stata al centro degli sforzi per la pace da decenni. Settant’anni fa, quando l’Organizzazione delle Nazione Unite (ONU) votò per dividere la Palestina in stati ebraici e arabi, Gerusalemme fu definita un’entità separata sotto la supervisione internazionale. Nella guerra del 1948 fu divisa, come Berlino nella guerra fredda, in settori occidentali e orientali sotto il controllo israeliano e giordano, rispettivamente. Diciannove anni dopo, nel giugno del 1967, Israele conquistò la parte orientale, allargò i confini della città e la annetté – un atto che non fu mai riconosciuto a livello internazionale.
Israele descrive abitualmente Gerusalemme, con i suoi luoghi santi ebrei, musulmani e cristiani, come la sua capitale “unita ed eterna”. Da parte loro, i palestinesi dicono che Gerusalemme Est deve essere la capitale di un futuro stato palestinese indipendente. L’inequivocabile visione internazionale, accettata da tutte le precedenti amministrazioni statunitensi, è che lo stato della città deve essere affrontato nei negoziati di pace. Qualsiasi mossa per riconoscere Gerusalemme come capitale israeliana metterà gli Stati Uniti in forte contrasto con il resto del mondo e legittimerà la costruzione di insediamenti israeliani nell’est, considerato illegale secondo il diritto internazionale.
Infatti, la decisione di Trump non viene approvata dal presidente francese Emmanuel Macron, anzi viene valutata come deplorevole. Mentre il presidente del consiglio italiano, Paolo Gentiloni, esorta a definire il futuro di Gerusalemme nell’ambito del processo di pace basato sui due stati, Israele e Palestina.