– di PLEBEO –
A Il Foglio ci sentiamo debitori di aver rivalutato il gusto delle analisi su quello delle battute e dei luoghi comuni disseminati nella vita politica e sociale. Ma con una eccezione. È il caso dell’articolo che mette sulla graticola il Segretario Generale della Uil, Carmelo Barbagallo, accusato di violenza verbale nei confronti della Fornero, e non solo. È sorprendente che l’articolo de Il Foglio per condannare l’uscita di Barbagallo mette in campo un armamentario di parole che a definirle violente si rischia l’eufemismo.
Barbagallo va al rogo per un’infinità di ragioni, compresa quella di voler esprimere fra i lavoratori i suoi liberi punti di vista su vicende come quella pensionistica che ha visto più volte il sindacato all’opposizione delle scelte governative per poi pazientemente impegnarsi in trattative che hanno ottenuto dei risultati utili per tutti e che Barbagallo stava valorizzando presso i lavoratori. Il Foglio, invece, avrebbe gradito titoloni sulla uscita del Segretario della Uil, cadendo in una sottile contraddizione: se fosse vero, infatti, che Barbagallo abbia sparso con le sue considerazioni semi di odio, molto meglio sarebbe stato non offrirgli un palcoscenico da protagonista.
Ma di quali “crimini” si sarebbe macchiato il segretario della Uil che comunque sa replicare da par suo e non ha bisogno di difese di ufficio? L’orrore de Il Foglio si appunta su due frasi: la battuta che colloca Monti, Boeri, Fornero al “servizio delle multinazionali” e quella che attacca Inps, Ragioneria di Stato e Corte dei Conti, individuati come “cani da guardia della legge Fornero”. Dichiarazioni secondo Il Foglio “sconsiderate”, “cariche di violenza”, con formule, citiamo, che ricordano quella brigatista dello “Stato imperialista delle multinazionali”. In questi giudizi va colta ovviamente una evidente serenità di valutazioni. Ed il parallelo con il linguaggio del terrorismo brigatista forse va inteso come un erudito richiamo storico, dimentico magari, ma potrebbe trattarsi di un dettaglio, del ruolo sindacale nel contrastare negli anni passati le Brigate rosse. Ma l’articolo de Il Foglio non resiste alla tentazione di intingere la penna nel mefistofelico gusto dei salotti di casa nostra, sempre pronti al disprezzo e al cinismo, quando sembra scandalizzarsi del fatto che Barbagallo parli quando “non dovrebbe mai esprimere concetti più forti delle conoscenze linguistiche e grammaticali”. Come se un leader sindacale dovesse avere il bollo della Accademia dei Lincei per far conoscere le proprie convinzioni. A meno che non ci si sia voluti ispirare a quel classismo arrogante dei padroni delle ferriere che per non cedere sullo sfruttamento in fabbrica insultavano i rappresentanti dei lavoratori in quanto autodidatti e formatisi nel duro lavoro delle fabbriche e dei campi. Un passato un poco di parte che si pensava fosse sepolto e che invece rispunta per irridere chi esprime con franchezza le proprie opinioni che non sono solo sue. Certo pensare che a Il Foglio qualcuno resuscita comportamenti tipici della vecchia lotta di classe è perfino divertente. Del resto forse sfugge all’estensore dell’articolo che non pochi leader sindacali della lunga storia di Cgil, Cisl e Uil , hanno costruito la loro credibilità non con i titoli di studio o le benemerenze rilasciate da cenacoli elitari, ma con la passione e l’intelligenza di chi ha scelto la parte più debole della società per garantirne con determinazione e lungimiranza una tutela che ha prodotto diritti essenziali per la stessa vita democratica. Ed allora: distrazione o prurito antisindacale? A pensarci bene qui c’è anche una differenza di pensiero. Fra coloro che ritengono il sapere anche una civetteria con la quale umiliare chi non la pensa come loro e quei dirigenti sindacali e della sinistra riformista che invece hanno fatto anche del sapere un terreno di lotta per ottenere una società migliore per tutti, soprattutto per i più deboli.
Sul merito la colpa di Barbagallo sembra essere quella di aver messo in fila una serie di enormi errori compiuti sulla previdenza con l’ossessione dei conti pubblici, che oggi pesano sul piano economico e sociale e sui quali si sta intervenendo, guarda caso, con grande fatica per evitare ulteriori ingiustizie inaccettabili. I numeri della previdenza non possono da soli descrivere la complessità del mondo del lavoro, specie quando sono usati a senso unico: vale a dire togliere a chi ha già poco di suo. Non solo, facendo passare per giunta il concetto che in un mondo del lavoro investito da cambiamenti profondi, inarrestabili e continui si può impunemente intervenire come se tutte le professioni fossero eguali… Un po’ di indignazione per questi ragionamenti e le conseguenti decisioni è lecito concedere alla Uil di Barbagallo ed ai lavoratori o, secondo Il Foglio, non ne hanno diritto? Eppure in questi anni il sistema previdenziale ha retto per il senso di responsabilità di sindacati e pensionati. Ha retto malgrado che dai Governanti, compresi Monti e la Fornero, nonché dall’attuale Presidente dell’Inps (splendida penna polemica in un posto sbagliato visto che l’Istituto aveva bisogno di nuove scelte e di nuove proposte), non ci sia mai stato il coraggio fino ad oggi di separare ad esempio l’assistenza dalla previdenza. Non ci sono i soldi? Tempo fa una interrogazione parlamentare metteva in evidenza che oltre 400 miliardi di euro di evasione fiscale solo da riscuotere nei piani alti della evasione erano andati chissà come in fumo…E non ci sono le risorse? In realtà quello che non c’è stato è la capacità di andare a riscuotere, e, se proprio vogliamo, neanche la pubblicazione della lista di quegli evasori di alto bordo che a quanto pare non interessava nessuno, neppure a Il Foglio, immaginiamo. Nel frattempo gli anziani di questo Paese, dal 1992 tanto per intenderci, hanno rinunciato a miliardi e miliardi di rivalutazioni delle pensioni, si curano sempre meno, vengono considerati responsabili di una frattura generazionale che invece non si allarga ulteriormente proprio per il loro contributo nelle famiglie. E solo un cieco non vede che fra i tanti rattoppi sanitari e previdenziali si fa strada la concezione secondo la quale sarebbe meglio affidare una bella fetta al privato…secondo una filosofia che non sarà violenta ma certo favorirebbe altre disgustose diseguaglianze: come dire che l’affare è di gran lunga più importante della dignità delle persone.
Barbagallo e gli altri dirigenti del sindacato si battono da tempo per impedire questa deriva, con argomenti che non sono violenti, semmai solidaristici. In realtà, sotto mentite spoglie, si coglie nel livore versato nell’articolo la solita, trita, musica antisindacale che intende delegittimare ad ogni occasione il ruolo e le tutele che il sindacato garantisce, sia pure con i suoi limiti ed errori. Limiti ed errori, che sono ben altro della violenza. La violenza non è cosa riformista, lo sanno tutti meno l’articolo de Il Foglio. Contro di essa tante volte i dirigenti sindacali, e fra essi lo stesso Barbagallo, hanno levato la propria voce. E quando si citano protagonisti riformisti colpiti dalla violenza terroristica ci si dimentica chi li ha difesi e chi li ha lasciati soli. Marco Biagi, a Il Foglio dovrebbero saperlo, chiese insistentemente e invano di avere una tutela che si garantiva ad altri, anche a quelli che andavano a fare la spesa “scortati”, fino a che qualcuno (non certo Barbagallo, a Il Foglio se ne facciano una ragione) lo definì un rompiscatole. E ci siamo dimenticati l’odio riversato, odio vero, nei confronti di chi come Tarantelli si batteva per evitare con lucidità e coraggio che il movimento sindacale accumulasse ritardi nei confronti dell’evoluzione sociale ed economica. Attenti alle parole ed agli schemini di moda, specie quando vengono usati a sproposito. Confondere poi la polemica politica, spesso triviale, con quella sindacale diventa un gioco sterile anche se facile. Un gioco profondamente sbagliato perché punta ad intaccare uno dei pochi e veri baluardi di coesione sociale che ancora resistono mentre il resto della nostra vita politica si “sfarina”. E produce il rancore sociale denunciato dal Censis. Che non cita Barbagallo, chissà come mai. Di violenza, è vero, nella nostra società ne abbiamo pure troppa, a cominciare dal modo con cui nella vita politica si cercano di demolire gli avversari. Ma questo non ha nulla a che vedere con la difesa degli interessi di lavoratori e pensionati. Semmai la complica.