-di SANDRO ROAZZI-
I dati sull’occupazione ad agosto assomigliano a quei cruciverba con le… facilitazioni. Le ferie agostane, specie quest’anno di ripresa turistica, riescono ad offrire opportunità di lavoro soprattutto a giovani e donne. E così è avvenuto in questo 2017 che gode, e non è certo un male, di una congiuntura favorevole. Rispetto ad agosto di un anno fa i posti di lavoro a termine sono cresciuti di 350 mila unità, quelli stabili di sole 66 mila. La sproporzione dovrebbe essere evidente anche per le Vestali del Jobs act. Ma la tendenza della crescita del lavoro… precario è impressionante: negli ultimi sei trimestri si è passati da un incremento di 44mila unità a quello attuale di 350 mila di contratti a tempo determinato.
Intendiamoci, l’economia italiana sfrutta la scia positiva della ripresa europea, pur con le sue lentezze, e quindi sta accumulando una vivacità che in presenza di strategie coraggiose sul piano produttivo e delle politiche del lavoro potrebbe essere utile anche nel medio periodo.
Diradando anche quella cappa di incertezze che ha gravato sul nostro Paese per molto tempo e che non è certo svanita viste le turbolenze politiche in atto e le stravaganze delle ricette economiche in giro.
Resta però il fatto che la disoccupazione resta oltre l’11%, pur se in calo, e quella giovanile rimane pur sempre un macigno del 35,1%. Non solo: una fetta cospicua di incrementi occupazionali è appannaggio di quegli ultra cinquantenni “devoti” loro malgrado alla legge Fornero. Forse però il dato meno tranquillizzante viene dalla flessione continua di lavoratori fra i 35 ed i 49 anni. Prendiamo pure per buona la giustificazione dell’Istat che vi vede un fatto demografico, ma resta il dubbio che una parte almeno di quel cedimento occupazionale si debba a ristrutturazioni in corso, sostituzioni tecnologiche e licenziamenti. Tema scomodo, ovvio, di questi tempi. Meglio pensare che il calo sia frutto di culle vuote nei lontani anni ‘80. Ma per evitare ingenuità pericolose sarebbe anche il caso di interrogarci se sia saggio procedere con pochi investimenti, senza scelte di politica industriale davvero strategiche, senza un ruolo propositivo dello Stato nei grandi progetti di sviluppo che servono al Paese. Saggio e prudente visto che viviamo in una Europa che fa i conti con questi problemi e non… ci aspetta.