Nel silenzio dell’Europa e nell’imbarazzo di tutti i partiti, ieri la democrazia in Spagna, anzi in Catalogna è stata “sospesa”. Una sospensione che si è trasformata in un’offesa per i diritti fondamentali delle persone nel momento in cui il premier, il popolare (nel senso di partito non di consensi) Mariano Rajoy ha ringraziato la Guardia Civil per quel che ha combinato nelle strade della Catalogna, da Barcellona a Girona. In quel momento, con una contabilità dei feriti che saliva di ora in ora, ha ricordato il premio che Umberto I riconobbe al generale Bava Beccaris per i “servigi” offerti all’Italia unita solo da qualche decennio massacrando a Milano il popolo affamato e bisognoso di pane. Si presero il piombo; ai catalani meglio: “solo” proiettili di gomma.
Cosa accadrà ora dopo un referendum che per il premier non è mai avvenuto e che da un punto di vista strettamente legale tale probabilmente non è stato (essendo mancate le condizioni che rendono una simile consultazione legittima a cominciare dall’assoluta segretezza del voto), nessuno lo sa. Nessuno lo sa ma tutti preoccupa perché la Spagna non è Andorra e la Catalogna non è una regione qualsiasi. E non solo perché è l’area più ricca del Paese (anche se negli ultimi tempi non se la passa benissimo), ma per la sua storia, per la posizione che tenne ai tempi del golpe di Francisco Franco e della guerra civile: quella regione fu in prima fila nella battaglia per la difesa della democrazia e della repubblica. Probabilmente quel che è avvenuto in queste ore in qualche misura si collega a quel passato: l’anelito repubblicano che riemerge sotto nuove forme, una lontananza da quella Madrid vissuta come la culla di un mondo e di un sistema opprimente.
È evidente che in questa vicenda tutti hanno delle colpe. I catalani hanno sicuramente forzato la mano, imposto un referendum che viola la legge cioè una costituzione che fu varata dopo un altro referendum in cui votarono anche i cittadini di Barcellona e dintorni. Ma chi a una forzatura politica oppone una forzatura violenta (cioè la Guardi Civil contro i cittadini inermi) azzera di colpo tutte le sue ragioni. Ascoltare la voce del popolo è un esercizio di democrazia ma, allo stesso tempo, è esercizio di democrazia il rispetto della legge. Quando questi due esercizi entrano in conflitto, bisogna attivare la politica. E questo non è stato fatto. La responsabilità maggiore incombe sul principale esponente del governo cioè da Mariano Rajoy, premier dimezzato al potere solo per la stanchezza sopraggiunta dopo tre inutili elezioni e che ricorderà il 1° ottobre 2017 come il giorno del suo tramonto morale. Con una aggravante: nel suo personale tramonto ha coinvolto anche la democrazia.
Stavolta non sono d’accordo. Dietro il referendum c’è l’obiettivo dell’indipendenza della Catalogna dalla Spagna. Nessuno Stato può consentire una cosa del genere.