Sugli anziani all’estero, governo di coccio

 

-di POLITICO-

Ci risiamo. Il Belpaese prova a risolvere sprechi e pubblica inefficienza, attraverso misure repressive contrarie agli interessi di un gruppo sociale non tutelato da consorterie o corporazioni. Stavolta, nell’interminabile lista dei sopraffacendi, finiscono i terza età costretti dal sistema fiscale iniquo a scappare in altri paesi, con in mano il malloppo della miseranda pensione e il cuore pesante per la rinuncia ad affetti e abitudini. In Italia non arrivano a fine mese: dove il costo di vita è minore e vale l’esenzione fiscale sul reddito maturato all’estero, sì.

Lo stato, che li ha costretti a partire, ai settanta o giù di lì, verso paesi dei quali ignorano lingua e abitudini, non si chiede come assisterli o invogliarli al ritorno. Figurarsi! Li considera nemici della patria, tant’è che al comitato per gli italiani all’estero (bel nome accattivante, neh!? Orwell insegna) prima di andare in vacanza lanciano l’idea dell’esemplare castigo, da inserire nella prossima manovra. Si toglieranno ai reprobi quattordicesima, integrazioni al minimo e altre maggiorazioni, assistenza sanitaria e prestazioni assistenziali: dovessero mai provare nostalgia per l’Italia! Apprendano una volta per tutte che il loro paese, dopo la vita lavorativa che ha fruttato quel po’ po’ di pensione, lì percuoterà fino all’ultimo giorno ovunque essi vadano.

Il ragionamento proposto dalle menti sadiche che rendono lo stato il nemico numero uno dei cittadini per bene, è che gli italiani residenti in paesi con forme analoghe di tutela, devono essere costretti a goderne nei paesi di accoglienza. Il presidente del citato comitato, Claudio Micheloni, ha dichiarato al senato: “per il singolo non cambierebbe nulla”. E ha fatto l’esempio della Germania, ovvero del sistema sanitario di eccellenza, tanto per dire a che punto può spingersi impudenza e bolsa retorica dei rappresentanti del popolo.

Il problema è che i poveracci anziani emigrano in paesi più scassati dell’Italia, non in quelli più efficienti, dove il costo della vita sarebbe superiore. Come se il micheloni di turno non lo sapesse! E se i nostri anziani rientrano in Italia per curarsi, lo fanno avendone sacrosanto diritto, e perché magari con medici e personale sanitario possono parlare e capirsi (in italiano), e perché magari hanno amici parenti cani gatti e canarini loro familiari che possono avere vicino. Già: cosa volete che interessi ai micheloni nostrani? Con i privilegi che si sono attribuiti, si suppone che in situazioni del genere non saranno mai costretti a cacciarsi.

Invece di immaginare misure stupide e odiose, che peraltro frutterebbero all’erario il corrispondente di un cesto di lupini, si prenda sul serio la questione dell’emigrazione degli anziani, e la si affronti come meriti. C’è un solo modo: detassare le pensioni sino a mille euro. L’erario e la comunità nazionale recupereranno con gli interessi i soldi ai quali rinunciassero con detta misura.

Cesserebbero d’incanto le migrazioni fiscali della terza età. Il che comporterebbe che gli importi pieni della pensione verrebbero spesi in Italia, con vantaggio: del fisco che incasserà le imposte indirette sugli acquisti di beni e servizi, del sistema bancario che incorporerà i risparmi, del lavoro specie assistenziale e artigianale che sarà movimentato, e così via. Guadagnerà la salute fisica e mentale dell’anziano, sottoposto a meno stress, con risparmi per il sistema sanitario nazionale.

Guadagnerà soprattutto il fattore di economia sociale e relazionale che non perderà il valore di saperi, tradizione, affetti accumulati dall’anziano nei lunghi decenni della sua vita, con beneficio per la comunità e soprattutto per la sua famiglia. Immaginare che i bambini italiani non abbiano accanto i nonni, o che i figli, ora giovani genitori, perdano l’apporto che sempre i nonni italiani hanno dato alle giovani famiglie, non è certo considerabile investimento nel futuro.

Il proverbio dice che non ci sia peggior sordo di chi non voglia sentire, e suona un po’ offensivo per l’ipoudente. Il nostro ceto dirigente non è che sia duro di udito, è duro di comprendonio. A Roma si direbbe che è de coccio.

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