-di VALENTINA BOMBARDIERI-
Un cilindro in testa, torso nudo e un crocifisso al collo. Con l’arroganza di quelli che sono convinti che per essere cattolico basti un simbolo sacro appeso al collo. Chi di voi non si ricorda Povia? Per carità, non è obbligatorio ricordarlo anche perché musicalmente non ha mai detto nulla di rilevante. Forte di questa pochezza, nel 2006 vinse il Festival di Sanremo con la canzone “Vorrei avere il becco”, conosciuta dai più come “la canzone del piccione”. Ma alla “storia” è passato soprattutto per un’altra composizione: “I bambini fanno oh”, che riscosse persino un notevole successo. Fin qui tutto nella normalità della mediocrità sanremese. Ma si sa: se non si può pensare di stupire con il talento, bisogna provare a farlo in altro modo. Povia a un certo punto ha pensato di riuscirvi affrontando con presunzione temi politicamente e socialmente rilevanti. Non avendo gli strumenti culturali per gestirli con un barlume di serietà, ha deciso di farsi notare nella maniera sguaiata decisamente di moda in questi temi caratterizzati da un notevole degrado: contenuti sciatti, rime di cattivo gusto, roba buona per i graffiti dei bagni pubblici o, in una versione più nobile, per non ancora ristrutturate toilette di autogrill.
E così saltando di palo in frasca, avendo probabilmente abbracciato le tematiche della peggiore destra (si è probabilmente già meritato un invito alla prossima festa di Casa Pound), prima si è occupato di gay e eutanasia, passando ora all’immigrazione. Forse avrà pensato: se parlando di muri con il Messico e di musulmani da rispedire al loro paese Trump è arrivato alla Casa Bianca, non vuoi che io non arrivi più modestamente al vertice della hit parade? Il politicamente scorretto paga, soprattutto quando non si hanno idee interessanti da esibire e musicare. La canzone in questione si chiama “Immigrazia” e recita: “Mentre fissi il lampadario, ti fregano il salario. Ma non è mica colpa loro, c’è un disegno molto chiaro, il potere veterano con la scusa del razzismo vuole fare fuori l’italiano. L’italiano è cotto bene, sembra proprio un maccherone. Nel frattempo l’immigrato, mentre tu stai sulla sedia, piano piano lui si insedia”. Prima però si lancia in una profonda riflessione sulle nuove generazioni: “Un tempo i figli crescevano duri perché i genitori erano duri, oggi i figli sono molli perché siamo tutti molli”. Tenco e De Andrè levateve proprio, come si direbbe a Roma. Ma non solo loro. Anche Bossi che, rientrando tra quei genitori, anni fa riteneva di “avercelo duro”. Povia, invece, sì che è uno tosto: le canta in faccia, ai quattro venti, così come passano per la testa. Sarà anche per questo che si esibisce desnudo a metà. Poco importa se fa tanto “coatto”.
Nel breve testo di presentazione Giuseppe Povia consiglia di ascoltare bene le strofe e di diffondere questa canzone “sul profilo degli “antirazzisti, dei democratici e dei gombagni”. Continua poi dicendo che “la sostituzione degli italiani è in atto. Usano immigrati a basso prezzo. Noi italiani scompariremo, storia già vista.”. Per concludere fa l’occhiolino a Matteo Salvini sostenendo che “sto pezzo ti piacerà!”. Della serie “cosa tocca fa’ pe campa’ ”. Perché il povero Povia non ruba come gli immigrati lo stipendio, però non prova nemmeno a guadagnarselo praticando qualche seria professione o impegnandosi in qualche duro mestiere. Insomma, il “sudore della fronte” (evangelicamente parlando, linguaggio che lui dovrebbe conoscere benissimo) non è per lui.
La seconda parte di “Immigrazia” sostiene che “se dici queste cose sei soltanto un incivile e sei poco tollerante” e prosegue con il più classico “e il governo cosa fa?”. “Con l’aiuto del governo”, mentre noi litighiamo “lui si prende il nostro posto e ci cambia pure il Padreterno”. Ora, è possibile che prenda il nostro posto, ma è decisamente difficile che possa sfrattare il Padreterno perché quello, tanto per chi ci crede quanto per chi non ci crede ma è cresciuto in ambiente cattolico (e più o meno tutti noi siamo cresciuti in questo ambiente) riguarda non semplicemente l’anima ma la formazione culturale. Povia ci perdonerà se abbiamo osato utilizzare un aggettivo osceno, che forse non rientra nel suo vocabolario: culturale.
Sempre su Facebook, il cantante lancia anche un “consiglio per l’acquisto” (direbbe Costanzo), avviando una sorta di vendita promozionale: la stagione è quella giusta e la sua musica è in effetti proprio da saldo di fine stagione. Un cd 15 Euro, due copie costano 20 Euro. Meglio addirittura di dieci paia di mutande al mercatino sotto casa. Da ottobre poi sarà in tour: gli U2 si stanno già preoccupando, polverizzerà i loro recenti record italiani. Tranquilli, in ogni caso: Povia è a disposizione dei suoi fans, ha fornito loro anche un numero di telefono per acquistare i biglietti. “Vengihino, venghino, signori”. L’impressione è che in molti preferiranno investire quei quattrini in attività più produttive: come l’acquisto di bolle di sapone, sempre più consistenti dei messaggi di Povia.
Il giovanotto da tempo tenta di stupire con le sue sparate contro il Nuovo ordine mondiale, contro il signoraggio e altre amenità del genere che gli hanno permesso già di far parlare di sé. Ma degne di nota sono soprattutto le sue prese di posizione sui vaccini. In passato il cantante aveva spiegato di essere a favore dei vaccini ‘populisticamente, razzisticamente e generalmente‘, perché “siamo invasi tutti i giorni da flussi migratori”; più di recente ha sottolineato, come l’obbligo dei vaccini sia legge, così come quelle razziali.
Abbiamo due speranze. La prima: che Povia ritrovi il lume della ragione (ipotesi praticamente irrealizzabile). La seconda: che le sue teorie sulla sostituzione degli italiani comportino almeno la sua sostituzione con un cantautore immigrato semmai più bravo e talentuoso.