Calano i populismi, salgono le previsioni di crescita

 

-di SANDRO ROAZZI-

Calano le azioni dei populismi in Europa, salgono le previsioni di crescita economica da parte del Fmi. Secondo il Fondo l’attenuarsi dei rischi politici nel Vecchio Continente determina un consolidarsi della ripresa che viene vista al rialzo per tutti i maggiori Paesi, Italia compresa. Quest’anno da noi il Pil crescerà, secondo le nuove stime, dell’1,3%. Tutto da vedere l’andamento del 2018 ancorato ad un modesto 1% e nel mirino di una stagione elettorale complicata. Insomma il 2017 economico potrebbe rivelarsi anche un… fuoco di paglia. Devono preoccuparsi di più, è tutto dire, gli inglesi ai quali la Brexit con le sue incertezze produce previsioni al ribasso. Mentre sembra esaurirsi il promesso ciclone Trump che si sta trasformando in un polverone nel quale la crescita c’è, al 2,1% sia nel 2017 che nel 2018, ma non ai livelli sperati (anche se nel 2016 il Pil si è attestato all’1,6%). Altri numeri per Cina ed India che procedono a colpi di Pil ormai inimmaginabili in Europa. La Cina fuga le perplessità e sempre secondo il Fmi toccherà il 6,7% quest’anno per ripiegare su un rispettabile 6,4% nel 2018. L’India fa ancora meglio con una… doppietta sontuosa (ma che non cancella povertà e sfruttamento) del 7,2-7,7%. Lontanissimi gli altri partner del cosiddetto Brics, Brasile (che comunque crescerà l’anno prossimo più dell’Italia con l’1,3%) e Sudafrica.

La crescita mondiale comunque viaggia su ritmi che sembrano scongiurare nuove fasi recessive. I rischi semmai provengono da eventuali stagnazioni, complice la bassa inflazione.
Reggono meglio le economie ben strutturate, la Germania appare l’esempio più scontato ma anche più evidente: vita politica solida, manifatturiero imperniato su medie e grandi imprese capaci di innovazioni, sindacati forti, sistema finanziario protetto. Un Paese nel quale, osserva qualcuno, funziona ancora bene perfino la curva di Phillips quella che lega crescita della occupazione a crescita dell’inflazione salariale e che permette di valutare cosa ci si può aspettare nel futuro, orientando i comportamenti dei protagonisti dell’economia.

In Italia, con la dilagante precarietà del lavoro, la disoccupazione giovanile elevata, la esiguità di nuovi investimenti, con in aggiunta la lunga fase di moderazione salariale, invece appare poco praticabile anche ai fini delle scelte che guardano alle prospettive. Ecco perché la politica del giorno per giorno, quella degli “aiutini” a termine, quella della creatività da salotto, quella delle trovate nei cerchi magici, impedisce di guadagnare la riva di una reale stabilità dei processi economici. Ed aumenta le diseguaglianze, nemiche da sempre della curva di Phillips. E non solo.

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