-di MAURIZIO BALLISTRERI-
Sembrano ispirate allo stratagemma del “diversivo”, contenuto nel libro “L’arte della guerra”, attribuito a Sun Tsu, generale e filosofo cinese vissuto tra il VI e il V secolo a.c. (“Fai credere al nemico che ci sia qualcosa quando in realtà non c’è niente”) l’iniziativa legislativa che sanziona l’apologia del fascismo del deputato del Pd Emanuele Fiano e la dichiarazione del presidente dell’Inps Tito Boeri sugli immigrati come perno imprescindibile del nostro sistema previdenziale.
E sì, perché entrambe cozzano con la realtà e, probabilmente, hanno rappresentato un tentativo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi della disoccupazione, della crisi dei consumi, dei giovani in fuga dall’Italia, dei roghi al Sud, dell’immigrazione di massa e dall’oggettiva fase di difficoltà che sta vivendo il Pd e, in particolare, il suo leader, sempre più declinante, Matteo Renzi.
Nessuno avvertiva l’esigenza del disegno di legge di Fiano, considerato che, nell’ordinamento italiano, l’apologia del fascismo è un reato già previsto dall’art. 4 della legge 20 giugno 1952, n. 645, con pene da 2 a 5 anni, detta anche “Legge Scelba”, dal nome del ministro dell’Interno dell’epoca proponente, ancora vigente, che contiene “Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione“; norma costituzionale che afferma: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Insomma, l’iniziativa di Fiano appare del tutto inutile, in particolare perché il valore della democrazia è nella coscienza della stragrande maggioranza degli italiani. Semmai il deputato renziano si interroghi sul perché nella prima Repubblica è stata consentita la costituzione di un partito che, dichiaratamente, si richiamava all’esperienza fascista e, segnatamente a quella della Repubblica di Salò, il Msi, che dietro la politica del “doppiopetto” di Michelini e Almirante, è sempre stato in bilico tra parlamentarismo e contestazione al sistema democratico e dalle cui file si sono originati vari movimenti eversivi, come Ordine Nuovo, in alcuni casi ritenuti responsabili di stragi.
Fiano, che milita in un partito in cui è confluito una parte del ceto politico dell’ex Pci, potrebbe chiedersi sotto il profilo storico e politologico, perché Togliatti nel 1936 lanciò l’appello ai “fratelli in camicia nera” (un bel libro con lo stesso titolo dello storico ed ex sindacalista della Cgil Pietro Neglie ricostruisce la vicenda) e approfondire il ruolo del Movimento sociale a sostegno delle involuzioni del quadro politico italiano, ad esempio nel 1960 con il governo-Tambroni, e nel 1971 con l’elezione del democristiano Giovanni Leone al Quirinale. Insomma, il disegno di legge di Fiano, è da ascriversi a quell’ ”antifascismo di maniera” denunciato dallo scrittore Antonio Pennacchi, ricordando un’affermazione di Ennio Flaiano, “In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti.”
Anche le dichiarazioni di Boeri sono una sorta di cortina fumogena, secondo cui bisogna “avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno degli immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale”, aggiungendo che se i flussi di entrata dovessero azzerarsi, avremmo per i prossimi 22 anni 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell’Inps. Altro che il barone di Münchhausen, che tra le sue mirabolanti e surreali avventure letterarie annovera quella di essere andato sulla luna su di una palla di cannone! Ci sono cifre che smentiscono il bocconiano presidente dell’Inps: l’80% dei migranti presenti in Italia risiede nel nostro Paese da oltre 5 anni ed è senza copertura contributiva; il 34% svolge lavori poco qualificati come la raccolta di frutta e verdura in condizioni di sfruttamento, specie a causa del caporalato nel Mezzogiorno, ed ha una formazione scadente, come spiega lo studio “Migration Observatory’s Report: Immigrants’ integration in Europe”, condotto dal Centro Studi Luca d’Agliano con il Collegio Carlo Alberto dell’Università degli Studi di Torino, e pubblicato ad inizio di quest’anno.
La popolazione straniera in Italia è pari all’8,3%, e meno di un quarto risulta occupata. Il 34% svolge mansioni poco qualificate, ragion per cui i migranti trovano impiego in lavori non regolari, senza contribuzione all’Inps. Altro che pilastro del nostro sistema pensionistico! Se si vuole giustificare il flusso ormai incontrollato di migranti in Italia, non si scomodi l’economia ma solo l’umanitarismo, anche se fa pensare quanto affermato dal presidente della Francia, Emmanuel Macron, la “patria delle libertà”, disponibile ad accogliere solo i rifugiati politici e non i migranti. Ma, forse, per il nostro paese, più che di diritti umani si tratta di qualche deroga dell’Unione europea in materia di vincoli sul deficit dello Stato.