-di GIORGIO BENVENUTO e SANDRO ROAZZI-
Mentre Confindustria si cullava con il “patto di fabbrica” in Italia si sono rinnovati i maggiori contratti di lavoro indicando, sia pure in modo diversificato, proposte e soluzioni che guardano avanti. Buon senso vorrebbe che si ripartisse da questo contesto, certo e… reale. A fine luglio Confindustria e sindacati confederali si ritroveranno attorno ad un tavolo e si vedrà se ci sarà un percorso utile da avviare, magari seppellendo le diatribe sul ruolo più o meno attuale dei corpi intermedi e simbolismi che lasciano il tempo che trovano.
Intanto c’è chi, come i consulenti del lavoro lombardi, fanno i conti della stagione contrattuale e di quello che è avvenuto negli ultimi anni, precisamente dal 2011 al 2017. Si scopre allora che la palma di chi ha difeso meglio i salari dalla inflazione, con il migliore incremento dei minimi salariali, va ai chimici con un +12,76%. Seguono i tessili con un 12,51%, il settore alimentare con l’11,78%, i metalmeccanici con il 10,84%. L’inflazione dal canto suo, al netto dei beni energetici importanti e fin troppo “ballerini”, ha registrato un incremento dell’8,75%. Anche se i numeri tengono solo parzialmente conto di quanto è davvero successo, queste percentuali vogliono dire che per i chimici c’è stato un aumento dei minimi contrattuali di 224,67 euro per il livello D1, mentre per i metalmeccanici di livello 5 l’incremento è stato di 173,77 euro. Nel frattempo passi in avanti si sono fatti sul welfare contrattuale, mentre su altre voci ci sono stati aggiustamenti diversi da categoria a categoria.
Colpisce la vivacità di questi risultati contrattuali. Per i chimici, poi, questo risultato dovrebbe far riflettere tutti sulla opportunità di legare le nuove prospettive della contrattazione a progetti di sviluppo industriale di lungo periodo come ad esempio quel che riguarda il settore della economia verde. Per l’insieme dei settori vale la pena di ricordare a una politica distratta e, forse, in parte colpevolmente impreparata su questo versante, che la contrattazione in tempi di rivoluzione tecnologica può assolvere anche a compiti più generali, dal nodo del lavoro a quello delle nuove professionalità, a quello della partecipazione, a quello del controllo delle diseguaglianze per evitarne la dilatazione. Il suo essere “presente” nell’attuale situazione è un aiuto per tutti, anche per chi guarda al sociale in modo arrogante, quando non liquidatorio.
In un certo senso si può dire che la contrattazione non solo ha dimostrato una vitalità sindacale che può dare fastidio solo a detrattori ottusi, ma diventa un banco di prova importante per garantire vera coesione sociale e per restituire anche un ruolo a politiche riformiste oggi assenti. Anche la tenuta salariale non può non aprire nuovi orizzonti rivendicativi, tenendo conto dello stato di debolezza dei consumi interni, nonché della confusione fiscale esistente.
Ma ancor più questa stagione contrattuale consegna alle organizzazioni sindacali un patrimonio di unità reale, concreta, utile ai lavoratori che non dovrebbe essere saggiamente disperso. In tempi di vita politica consumata fra divisioni, veleni, contrapposizioni di potere non certo lungimiranti, incapacità a progettare il futuro, non è poco.