Ilva e le offensive favole di Vincenzo Boccia

 

Il presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, a proposito dell’Ilva ha detto: “Abbiamo avuto due grandi cordate, meno male perché era in condizioni non facilissime tra Procura di Taranto e conti. Arrivano investitori in questo Paese e, invece di fare tappeti rossi, facciamo contestazioni sui piani di ristrutturazione”. E ancora: “È evidente che i piani possano avere delle distonie in termini di occupazione, l’importante è creare occasioni di lavoro complessive e non concentrarci sulle singole aziende. Se poi vogliamo che il lavoro diventi rendita di posizione e tutti gli italiani debbano pagare i piani di ristrutturazione facciamo un errore. Quindi attenzione a questi aspetti. L’Ilva deve essere gestita in termini privati e rappresenta un grande asset per il Paese”. Ecco alcune parole che illustrano perfettamente la lontananza della classe imprenditoriale e, soprattutto, di chi la guida, dalla situazione reale del Paese che viene osservata più dagli oblò degli yacht che dalle periferie delle nostre città. Le proteste per l’Ilva. Boccia dovrebbe sapere che, in fondo, chi protesta non ha tutti i torti perché l’Ilva è una ferita aperta e sanguinante a livello sociale, tanto dal punto di vista occupazionale che dal quello della tutela della salute.

È evidente che il presidente della Confindustria non frequenta molto la città di Taranto, non conosce le dimensioni di un dramma chiamato carcinoma, è troppo intento a raccontare favole a sé stesso e a chi ha il piacere di ascoltarlo (non siamo tra questi, anzi alle cose che dice siamo totalmente disinteressate perché disinformate e disinformanti). Dovrebbe poi conoscere la storia di quella azienda, la maniera in cui è stata usata e sfruttata, sulle spalle dei cittadini di Taranto, dei bambini della città jonica e degli stessi lavoratori, da un associato alla sua organizzazione che ora ha tolto le tende e che non verrà rimpianto nemmeno per un attimo. La gente protesta perché sino ad oggi sull’Ilva i diversi governi e la classe imprenditoriale hanno consumato alcune tra le peggiori nefandezze. Pensiamo che la cittadinanza di Taranto abbia tutto il diritto di sapere quali garanzie gli “investitori” davanti ai quali si dovrebbero stendere i tappeti rossi (ricordiamo che uno degli investitori, uno di quelli che ha vinto, ha avuto già modo di illudere e deludere la comunità aprendo, assumendo, chiudendo e licenziando) assicurano dal punto di vista dell’ambientalizzazione dello stabilimento. Quali garanzie possono offrire per assicurare un sostanziale abbattimento della pericolosità dell’impianto. Soprattutto vogliono sapere quali condizioni a questi “papà Natale” il governo porrà visto che nel passato chi ha veduto l’Ilva a Riva si è guardato bene dal chiederle con le conseguenze che stanno pagando i tarantini e i lavoratori. Non babbo Natale.

A volte il presidente della Confindustria dovrebbe contare sino a cento prima di parlare perché se c’è una cosa che proprio non può dire è che in Italia il lavoro non può diventare “rendita di posizione” con la conseguenza di chiamare gli italiani al pagamento dei piani di ristrutturazione. I dati sull’occupazione non ci dicono che il lavoro in Italia si sia trasformato in rendita di posizione ma che semmai sono gli imprenditori che assumono solo in cambio di immediati benefici economici (sgravi contributivi), regalie a pioggia che sicuramente non lasciano nulla nelle tasche dei lavoratori. E i piani di ristrutturazione vengono pagati dagli italiani ma non su sollecitazione dei lavoratori ma degli imprenditori. Non risulta che siano stati i lavoratori a chiedere di bruciare quattrini nelle banche. E l’accordo voluto dal ministro Calenda per salvare l’Alitalia i costi del piano di ristrutturazione erano evidentemente scaricati proprio sui lavoratori e se la mente non ci inganna nella vicenda disastrosa di quella che era la compagnia di bandiera non pochi personaggi legati all’associazione di Boccia sono stati coinvolti nei ruoli di protagonisti principali. A guardare il mondo da un oblò ci si annoia un po’, come recitava una canzonetta di alcuni anni fa. E si finisce anche per dire delle sciocchezze sesquipedali.

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