Che bella Milano in un sabato di primavera

 

-di GIANMARIO MOCERA-

Sì, c’era tanta gente al corteo di ieri a Milano per chiedere e auspicare l’abbattimento dei muri, delle frontiere. Un corteo colorato e festoso, a parte i soliti contestatori che non mancano mai, ormai sono parte dell’arredo urbano.

Centomila che chiedevano integrazione e diritti, magari quelli che la Fondamentale Carta dei Diritti Umani nel 1948 identificò come inviolabili per lo spirito delle società democratiche.

Principi che oggi assumono un valore più rilevante nel momento in cui riemergono dagli scantinati lugubri del nostro passato fantasmi che invocano frontiere impermeabili alle migrazioni economiche e politiche, ermeticamente chiuse ad opera dagli stessi Paesi che hanno contribuito a creare le condizioni di esodi che hanno assunto ormai dimensioni bibliche a causa delle guerre e che verranno ulteriormente alimentati dai cambiamenti climatici (dovremmo ricordarcene quando l’eroe dei muri, Donald Trump, cancella gli accordi sui temi ecologici). Il fenomeno migratorio, nel corso degli ultimi anni ha fortemente investito il nostro paese e l’Europa intera (non imprevedibilmente, peraltro, come sanno bene Salvini e la Lega Nord che a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta guidati dal “padre ora ripudiato”, Umberto Bossi, hanno cominciato a costruire i propri avvilenti successi sul rifiuto): questi problemi vanno studiati e risolti non esorcizzati a scopi elettorali; le risposte possono solo nascere dalla conoscenza delle cause che hanno prodotto il fenomeno e cambiato la nostra economia e la nostra società a ritmi accelerati negli ultimi vent’anni.

Secondo l’Istat “le odierne migrazioni dei popoli sono sempre più caratterizzate dalla varietà e dalla complessità dei percorsi seguiti dai migranti e sono diventate nel tempo un tema rilevante in molte agende politiche, spesso non come fenomeno da capire e governare ma come elemento di disturbo”: il muro della Bulgaria, il blocco turco (con il finanziamento europeo di un capo autoritario che da quasi un anno con la scusa di un golpe ha avviato una vera e propria operazione di “pulizia politica”), i mal di pancia delle destre xenofobe e di quei partiti populisti che pur dichiarandosi “né di destra né di sinistra” perseguono politiche chiaramente orientate in una direzione che certo risulta complicato definire progressista.

In base ai dati forniti dal Ministero dell’Interno, allo stato attuale vivono in Italia, al 1° gennaio 2016, 3.931.133 cittadini non comunitari, numero sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente. Ma ciò che colpisce è la continua crescita dei permessi per asilo e protezione umanitaria (+19.398 ingressi, pari a +40,5%) che nel 2015 è arrivata a rappresentare il 28,2% dei nuovi ingressi (19,3% nel 2014, 7,5% nel 2013)

I principali paesi coinvolti delle migrazione in cerca di asilo e protezione internazionale sono Nigeria, Pakistan e Gambia che insieme coprono il 43,8% dei flussi in ingresso in virtù di questa motivazione.

Nel mondo oltre 65 milioni di persone sono da ritenersi forzatamente sfollate a causa dei conflitti, violenze e violazioni dei diritti umani, di cui 21.3 milioni sono stati riconosciuti come rifugiati e registrati come richiedenti asilo.

Ciò significa che, in conseguenza di una molteplicità di conflitti in vaste aree del medio oriente e dell’Africa, di grandi e di piccole dimensioni, che investono i cittadini dei paesi coinvolti, la fuga verso l’Europa e l’Italia, rimane una disperata scelta per salvare migliaia di vite umane.

I permessi di soggiorno rilasciati per motivi umanitari, nel corso del 2015, sono stati il 28% e questo indicatore è destinato a crescere sulla base dei fenomeni drammatici che, anche nel corso del 2016, hanno caratterizzato i flussi migratori. Complessivamente nell’ultimo quinquennio gli stranieri in Italia sono cresciuti di circa 1,4 milioni di unità.

Ma, nel corso degli ultimi 18 mesi si è andato evidenziando un aspetto del tutto nuovo, rappresentato dalla quantità di minori non accompagnati, arrivati in Italia dal Medio Oriente e da numerosi paesi africani: al Ministero del lavoro risultano presenti e censiti al 31 ottobre del 2016, ben 15.883, oltre la metà di età compresa tra i 16 e i 17 anni. I dati sull’accoglienza ci dicono che la regione maggiormente impegnata è la Sicilia che ospita il 39,9% dei migranti.

È fortemente cresciuto il numero delle donne immigrate, in particolare rifugiate che sono in Europa 339.955, poco più in Italia di 10.000 in Italia secondo l’Eurostat relativamente al periodo tra il dicembre 2014 e il novembre 2015, ovvero il 27% dell’intera popolazione di rifugiati. La colonia più popolosa è quella delle nigeriane: il 22% circa del totale.

Sia per ciò che concerne i minori non accompagnati che per le donne, si tratta di fasce di popolazioni particolarmente fragili e con bisogni molto differenti rispetto al passato quando il flusso migratorio era alimentato in larghissima misura da uomini in giovane età, accettati più agevolmente dal “mercato” poiché più idonei a svolgere lavori anche pesanti.

Il nostro paese ha dovuto rivedere molte delle politiche migratorie definite a partire dagli anni ’90, fondamentalmente incentrate sui bisogni di una migrazione che nasceva soprattutto dal bisogno economico. Nel tempo, però, al flusso delle persone in cerca di un futuro migliore privo di stenti si sono aggiunte donne, uomini e minori in fuga dalle bombe e dalle persecuzioni. Il risultato è un quadro complesso in cui agli inevitabili problemi legati alle definizione di equilibrate politiche dell’integrazione si sono aggiunti i limiti di una condizione generale economica e sociale profondamente indebolita dalla lunga crisi economica. Tutto questo si è trasformato in alimento per le pulsioni xenofobe accrescendo la “paura del diverso”, una paura che si ispessisce quanto più umile è l’estrazione socio-economica della persona colpita dallo stigma della diversità: un ricco normalmente dal problema non viene toccato, indipendentemente dalla razza, dalla religione, dalla lingua e dal colore della pelle.

Ecco la contraddizione: un’umanità colpita da profondi squilibri, il primo mondo che assorbe i consumi dell’ottanta per cento del pianeta mentre cinque miliardi di persone sono costrette a dividersi il rimanente venti per cento .

Le migrazioni sono la conseguenza di questi squilibri, con l’aggiunta che le politiche degli Stati in generale, e dell’Unione Europea in particolare, sono segnate dai limiti delle scelte emergenziali.

Milioni d‘individui con le proprie famiglie hanno lasciato le proprie case e si sono incamminati verso occidente; alcuni ce l’hanno fatta, altri sono periti in mare, “militi ignoti” di una guerra della povertà.

Oggi sono qui, alcuni addirittura da venticinque trent’anni (basterebbe ricordare il popolo dolente che a Bari scese dalla Vlora per essere “ospitato” in uno stadio che a molti ricordò altri tragici stadi della storia umana); hanno avuto figli nel nostro paese e i loro figli sono totalmente italiani (come ha sottolineato il presidente del Senato, Pietro Grasso), hanno anche l’accento tipico dei dialetti delle città in cui sono cresciuti: mi viene in mente un carissimo amico di origine eritrea con un forte accento anconetano.

L’integrazione è già cominciata a dispetto di quei puristi della razza (da Salvini in giù) che sostengono una tesi geneticamente infondata perché quella italiana è, per motivi storici antichissimi, impura per definizione. Da qualche tempo nelle nostre scuole i nostri figli sono in classe con bambini che provengono da tutto il mondo; Milano, Roma, le nostre grandi (ma anche quelle piccole) città sono un caleidoscopio: decine di comunità integrate (semmai caoticamente perché i nostri partiti, impegnati a inseguire l’utile elettorale, hanno dimenticato di costruire efficaci politiche di governo) nel tessuto produttivo, commerciale e culturale. Immaginiamo che agli occhi dei Salvini e delle destre italiane (comprese quelle berlusconiane) questo discorso suoni buonista; ma molto meglio essere buonisti che antistorici cavernicoli.

Perché, poi, spesso nella nostra storia chi ha guardato avanti (basti pensare a Galileo) dall’irrazionalità dilagante è stato accusato di eresia o di follia. Eppure ci sono esempi che arrivano da Paesi guidati da partiti non propriamente di sinistra che qualcosa dovrebbero insegnarci. Prendiamo quel che è avvenuto in Germania. Un paio di anni fa il paese venne investito dall’onda migratoria siriana: in fuga dalla guerra, tutti vedevano in Berlino la terra promessa. La Merkel prima chiuse, poi aprì (i cartelli di “benvenuto” si sprecavano nelle stazioni mentre i migranti sfilavano tra due ali di folla plaudente e sorridente), poi richiuse (anche in seguito ai fatti del Capodanno di Colonia). Ma nel momento in cui ondeggiava tra Scilla e Cariddi, la Cancelliera lanciò un’idea ambiziosa: accogliere ed integrare un milione di nuovi cittadini portatori di un’altra lingua, un’altra cultura, altre tradizioni e abitudini.

Oggi quel processo d’integrazione è realtà, viene realizzato attraverso un percorso formativo propedeutico ad un impiego, gestito con il coinvolgimento delle università. Chiaro l’obiettivo: trasformare gli immigrati in cittadini della Repubblica Federale, con tutti i diritti e tutti i doveri.

In Italia c’è ancora la Bossi-Fini, edulcorata dai vari decreti sollecitati all’emergenza: l’integrazione, priva di una strategia, è stata affidata al buon cuore degli italiani.

La migrazione economica e politica è stata la storia del nostro Paese, l’America, il Belgio nelle miniere (braccia e morti in cambio di carbone), l’Argentina ecc… gli italiani sono ovunque (degli argentini un presidente messicano non a caso diceva: sono italiani che parlano in spagnolo e si credono francesi) e ovunque hanno combattuto contro i pregiudizi: una sorte che non vorrei per gli altri, che da stranieri sono giunti a casa nostra e che qui probabilmente resteranno. Si spera da cittadini a pieno titolo.

È nell’interesse comune trovare le giuste alchimie dell’integrazione: non si tratta di una questione di buonismo ma di semplice realismo: ciò che non governeremo oggi, potrebbe travolgerci domani. Gli strumenti li abbiamo: la scuola e poi il lavoro perché solo con il lavoro è possibile dare dignità all’uomo. L’uomo è nato nomade: tali, millenni fa, erano i progenitori anche di chi oggi sulle piazze addita l’untore; la storia dell’umanità è fatta di popoli in marcia. E chi ha vagheggiato l’idea della purezza della razza alla fine ha provato a realizzare l’obiettivo facendo marciare gli uomini incolonnati, irregimentati e al passo dell’oca. Nessuno è straniero e nessuno si deve sentire straniero perché la nostra identità non è definita da un luogo di nascita ma dalla fedeltà a una legge, la nostra Costituzione. Quella di Milano, al di là dei soliti idioti, è stata una giornata straordinaria. Come cantava Lucio Dalla: “Milano vicino l’Europa… Milano che quando piange piange davvero… Milano a portata di mano ti fa una domanda in tedesco e ti risponde in siciliano”. Quella di sabato è la Milano che ha fatto la storia di questo paese, la Milano della solidarietà, della cultura, centro nevralgico e motore di riscatto nazionale dopo i tempi bui della guerra.

fondazione nenni

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