Evviva, abbiamo lo stesso passo della Germania e della Svezia. Nell’inflazione, però. Ce lo comunica Eurostat, cioè l’istituto europeo di statistica. Peccato che il nostro ritmo di crescita sia estremamente distante da quelli di Berlino e Stoccolma. In queste seconde classifiche siamo mestamente in coda. Relativamente all’inflazione, invece, siamo esattamente a metà del convoglio, appena sopra la media della zona-euro (in misura più consistente rispetto a quella dell’Unione). In Italia, infatti, il tasso di inflazione certificato nello scorso mese di aprile è stato pari al 2 per cento contro l’1,9 della zona euro (e l’1,6 dell’Unione).
Ci sono diversi Paesi in cui la crescita dei prezzi segue un ritmo più pigro (0,6 Romania, 0,7 Irlanda, 0,8, Slovacchia, 1 tondo Danimarca); in altri, invece, ha assunto una velocità decisamente spedita (Estonia 3,6, Lituania 3,5, Lettonia 3,3). Evidente il balzo in avanti rispetto ad aprile dello scorso anno quando tanto nella Ue quanto nella zona euro l’inflazione era attestata -0,2 per cento (in Italia era addirittura a -0,4 cosa che in qualche maniera dava conforto al potere d’acquisto per il resto “inchiodato” sul fronte della crescita dei salari che adesso, con l’inflazione, “girano” addirittura in territorio negativo).
A dare un’occhiata alle voci che spingono i prezzi, si ha la netta sensazione che siamo in presenza di una inflazione “malsana”, cioè non guidata dalla crescita del reddito disponibile (e, soprattutto, dei salari) ma dalle necessità, la spirale si muove per via del bisogno non di più o meno ponderate scelte di consumo: infatti a trainare i prezzi provvedono i trasporti e i combustibili liquidi mentre cedono su quello abbigliamento, pane, cereali e telecomunicazioni.