Crescono i laureati al lavoro ma non le retribuzioni

-INDAGINE ALMALAUREA*-

La XIX Indagine AlmaLaurea sulla Condizione occupazionale ha coinvolto complessivamente 620 mila laureati di 71 Atenei italiani: 262 mila di primo e secondo livello -magistrali biennali e magistrali a ciclo unico- del 2015, indagati a un anno dal termine degli studi, 109 mila di secondo livello del 2013, contattati quindi a tre anni dal conseguimento del titolo, e 103 mila del 2011, intervistati a cinque anni dalla laurea; infine, come oramai avviene da diversi anni, due indagini specifiche hanno riguardato i laureati di primo livello del 2013 e del 2011 che non hanno proseguito la formazione universitaria (81 mila e 66 mila, rispettivamente), contattati a tre e cinque anni dalla laurea. Su base annua, i laureati coinvolti nell’indagine costituiscono circa il 90% di tutti i laureati italiani; una popolazione che assicura un significativo quadro di riferimento dell’intero sistema universitario…

Ad un anno dal titolo risulta occupato il 68% dei laureati triennali e il 71% dei magistrali biennali… Il confronto con le precedenti rilevazioni evidenzia un miglioramento, seppur lieve, del tasso di occupazione. Dopo la significativa contrazione intervenuta tra il 2008 e il 2013 (-16 punti per i triennali; -11 per i magistrali), nell’ultimo triennio il tasso di occupazione è aumentato di oltre 2 punti percentuali per i triennali e di 1 punto per i magistrali biennali. Segnali modesti, che attendono conferma nei prossimi anni, ma che lasciano la speranza per un futuro più roseo.

Ma i momenti di criticità, vissuti da chi si è affacciato sul mercato del lavoro negli anni bui della crisi, hanno inevitabilmente condizionato l’attuale performance occupazionale. Nel dettaglio, a tre anni dalla laurea il tasso di occupazione raggiunge l’82% tra i laureati triennali e l’83% tra i magistrali biennali (rispettivamente, in aumento di 2 punti percentuali e sostanzialmente stabile rispetto all’indagine dello scorso anno); a cinque anni dal titolo sale, rispettivamente, all’87% e all’84% (in aumento, rispetto al 2015, di quasi due punti percentuali per i triennali e stabile per i magistrali). È pur vero, però, che rispetto alla rilevazione del 2012, il tasso di occupazione a cinque anni risulta ancora in diminuzione: -4 punti percentuali per i laureati triennali; -6 per i magistrali biennali…

Gli esiti occupazionali evidenziano forti differenziazioni, che in generale accomunano tutti i tipi di laurea esaminati. Si tratta di differenze che riguardano, ad esempio, il genere, l’area geografica di residenza ma anche, naturalmente, il percorso concluso. Divari che confermano quanto la realtà sia decisamente più complessa ed articolata di quanto si pensi, e che le sintesi non riescono a far emergere… La prima evidenza che emerge… è che il percorso disciplinare intrapreso esercita un effetto determinante nell’individuare le chance occupazionali dei neo-laureati: a parità di altre condizioni, infatti, i laureati delle professioni sanitarie e di ingegneria risultano più favoriti. Più penalizzati, invece, sono i colleghi dei percorsi psicologico e geo-biologico (i risultati sono in linea con quelli dello scorso anno)…

Pur con tutte le cautele già menzionate, colpisce, e mette in discussione un luogo comune, il fatto che, a parità di ogni altra condizione, siano le lauree triennali ad avere maggiori chance occupazionali ad un anno dal titolo.

Si confermano significative le tradizionali differenze di genere e, soprattutto, territoriali, testimoniando, ceteris paribus, la migliore collocazione degli uomini e di quanti risiedono o hanno studiato al Nord.

Il contesto socio-culturale di origine, sebbene l’approfondimento evidenzi che di per se stessa l’influenza è contenuta, sostiene propensioni ed aspettative, sia formative che di realizzazione, che ritardano l’ingresso nel mercato del lavoro, in attesa di una migliore collocazione professionale. I laureati provenienti da famiglie nelle quali almeno un genitore è laureato registrano quindi una minore occupazione ad un anno dal titolo.

Il punteggio negli esami, calcolato tenendo conto della relativa distribuzione per ateneo, gruppo disciplinare e classe di laurea, risulta determinante nel favorire migliori opportunità occupazionali. Ma il rispetto dei tempi previsti dagli ordinamenti esercita un effetto ancor più positivo, perché in tal caso i laureati si pongono sul mercato del lavoro in più giovane età. È verosimile pertanto che abbiano prospettive e disponibilità, anche contrattuali, più “appetibili” agli occhi dei datori di lavoro.

Le esperienze lavorative (in particolare di chi ha svolto attività continuative a tempo pieno per almeno la metà della durata degli studi, i cosiddetti lavoratori-studenti), così come alcune competenze maturate nel corso degli studi universitari, esercitano un effetto positivo in termini occupazionali. A parità di ogni altra condizione, infatti, le esperienze di lavoro, di qualsiasi natura, le competenze informatiche, i tirocini/stage compiuti durante gli studi, le esperienze di studio all’estero sono tutti elementi che rafforzano la probabilità di lavorare, entro un anno dal conseguimento del titolo…

L’analisi del tasso di disoccupazione (per i triennali limitato, come già ricordato, ai laureati che non hanno proseguito gli studi universitari dopo il titolo) conferma, ancor più fortemente, le considerazioni fin qui sviluppate.

I laureati di primo livello presentano, ad un anno, un tasso di disoccupazione pari al 21%, superiore di 1 solo punto percentuale rispetto a quello rilevato tra i colleghi del biennio magistrale (20%). Per il terzo anno consecutivo si registra una diminuzione del tasso di disoccupazione; in particolare, rispetto alla rilevazione 2015, la contrazione è di 3 punti per i laureati triennali e di 1 punto per i laureati magistrali biennali. Tuttavia, il confronto con il 2008 risulta ancora penalizzante: di fatto il tasso di disoccupazione è quasi raddoppiato negli ultimi otto anni (dall’11 al citato 21% per i triennali e dall’11 al 20% per i magistrali biennali). Le tendenze qui evidenziate si confermano, sia pure con diversa intensità, nella quasi totalità dei percorsi disciplinari.

A tre anni dalla laurea, il tasso di disoccupazione riguarda il 12% dei laureati triennali e l’11% dei magistrali biennali. La situazione migliora ulteriormente a cinque anni, quando tali quote scendono, rispettivamente, all’8 e al 9%; rispetto alla precedente rilevazione tali valori risultano in calo, per entrambi i collettivi, di 1 punto percentuale (Figura 4). Tra l’altro, tale calo si verifica per la prima volta, dopo anni di continuo aumento.

L’analisi delle caratteristiche del lavoro svolto conferma le tendenze evidenziate poco sopra. Particolarmente interessante è l’analisi della tipologia dell’attività lavorativa, anche alla luce dei recenti interventi normativi.

Rispetto alla precedente rilevazione, a dodici mesi dal titolo il lavoro autonomo risulta, per entrambi i collettivi in esame, in lieve diminuzione e riguarda il 14% dei laureati triennali e il 9% dei magistrali biennali… Figurano invece in aumento i contratti alle dipendenze a tempo indeterminato (compresi quelli a tutele crescenti), che coinvolgono il 29% dei laureati di primo livello e il 34% dei magistrali.

È però vero che rispetto all’indagine 2008 si registra un aumento del lavoro autonomo, rispettivamente, di 5 punti percentuali tra i laureati di primo livello e di 3 punti tra i laureati del biennio magistrale. Il tempo indeterminato, invece, ha subìto una significativa contrazione (-13 punti percentuali) per i laureati triennali, mentre ritorna ai livelli di otto anni fa per i magistrali biennali. Nell’ultimo anno si registra inoltre, tra i triennali, un aumento dei contratti non standard (in particolare alle dipendenze a tempo determinato) e, parallelamente, una modesta ma confortante diminuzione dei lavori non regolamentati da alcun contratto. La tendenza non è pienamente confermata tra i magistrali biennali, per i quali nell’ultimo anno si osserva una lieve diminuzione dei contratti non standard e una sostanziale stabilità dei lavori non regolamentati…

A tre anni dalla laurea il lavoro autonomo raggiunge il 15% degli occupati, sia tra i laureati triennali che tra i magistrali biennali, mentre i contratti a tempo indeterminato riguardano circa il 45% dei lavoratori di entrambi i collettivi in esame. Ma è ad un lustro dalla laurea che le condizioni migliorano fortemente. Tra i laureati del 2011, a cinque anni dal conseguimento del titolo, il lavoro autonomo si attesta al 14% tra i laureati di primo livello, mentre sale al 18% tra i laureati del biennio magistrale (Figura 6). La quota di chi è assunto con contratto a tempo indeterminato raggiunge il 61% tra i triennali e il 56% tra i magistrali biennali. Rispetto alla precedente rilevazione, per entrambi i collettivi si registra una lieve contrazione del lavoro autonomo (-1 punto percentuale) e un aumento dei contratti di lavoro a tempo indeterminato (+3 punti). A cinque anni dal titolo, 15 occupati triennali su cento sono assunti con un contratto non standard; sono 17 su cento tra i magistrali biennali. Tali quote figurano in tendenziale aumento negli ultimi anni, in particolare per i laureati di primo livello…

Per il terzo anno consecutivo, la retribuzione percepita dai laureati ad un anno risulta in aumento, attestandosi, nel 2016, attorno ai 1.100 euro netti mensili: 1.104 per il primo livello, 1.153 per i magistrali biennali

In un contesto come quello del 2016, anch’esso, come il precedente, caratterizzato da una sostanziale stabilità dei prezzi al consumo, sia le retribuzioni nominali che quelle reali6 risultano in aumento rispetto alla precedente rilevazione di circa il 2% (ciò è verificato in entrambi i collettivi). L’incremento evidenziato nell’ultimo triennio non è però ancora in grado di colmare la significativa perdita retributiva (-23% per il primo livello, -20% per i magistrali biennali) registrata nel quinquennio 2008-2013.

L’analisi, circoscritta ai soli laureati che lavorano a tempo pieno e hanno iniziato l’attuale attività dopo la laurea, innalza le retribuzioni medie mensili a quasi 1.300 euro (per entrambi i collettivi), confermando l’aumento retributivo rispetto alla precedente rilevazione (e questo anche in termini reali).

A tre anni dalla laurea la retribuzione mensile netta supera i 1.250 euro per i laureati triennali e sfiora i 1.290 euro per i magistrali biennali; valori, per entrambi i collettivi, in aumento rispetto a quanto rilevato lo scorso anno.

L’analisi delle retribuzioni a cinque anni dal conseguimento del titolo conferma le tendenze qui esposte… Ad un lustro dalla laurea la retribuzione mensile netta supera i 1.360 euro per i laureati triennali e i 1.400 euro per i colleghi magistrali biennali. La rilevazione evidenzia, dopo il forte aumento registrato lo scorso anno, una sostanziale stabilità delle retribuzioni per i laureati di primo livello, e un aumento retributivo, seppure lieve (+1%) per i magistrali biennali. Se si circoscrive la riflessione ai soli laureati occupati a tempo pieno e che hanno iniziato l’attuale lavoro dopo la laurea, le retribuzioni (superiori ai 1.470 euro) si confermano in aumento rispetto alla precedente rilevazione.

Per quanto riguarda l’uso che i laureati fanno delle competenze acquisite durante gli studi, nonché la necessità formale o sostanziale del titolo ai fini dell’assunzione, si rileva che per circa la metà dei laureati occupati a un anno il titolo risulta “molto efficace o efficace”: 51% per i triennali e 48% per i magistrali… Si tratta di valori tendenzialmente in aumento rispetto a quanto rilevato lo scorso anno (+1 punto percentuale per entrambi i collettivi). Anche in questo caso, è però vero che il miglioramento registrato negli ultimi anni non cancella le difficoltà incontrate a partire dalla crisi: l’efficacia del titolo risulta infatti ancora in calo se il confronto ha luogo con la rilevazione 2008 (-7 punti tra i triennali, -3 tra i magistrali biennali).

Col trascorrere del tempo migliorano le caratteristiche del lavoro svolto e, tra queste, anche l’efficacia del titolo. A tre anni, infatti, la laurea risulta “molto efficace o efficace” per 58 laureati triennali e 52 biennali su cento. A cinque anni tali quote aumentano ulteriormente, raggiungendo, rispettivamente, il 63 e il 54% degli occupati (Figura 10). Il confronto con le indagini passate evidenzia, nell’ultimo anno, una sostanziale stabilità dell’efficacia sia tra i laureati triennali (rispetto alla rilevazione 2012, invece, si evidenzia un calo di 3 punti), sia tra i magistrali biennali (valori invariati anche rispetto al 2012).

* Quelli che abbiamo pubblicato sono alcuni stralci della XIX Indagine sulla condizione occupazionale dei laureati

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

Rispondi