-di FEDERICO MARCANGELI-
A 70 anni dalla strage i leader di Cgil, Cisl e Uil si sono ritrovati a Portella della Ginestra. Non per festeggiare, ma per commemorare quei caduti e cercare di far ripartire un paese quantomai fermo. Deponendo una corona di fiori nel cimitero di Piana degli Albanesi si sono ricordate le 11 vittime di quel 1° maggio 1947, con un occhio al presente.
“Settanta anni fa la strage di Portella della Ginestra segnò il tentativo delle classi dirigenti di allora di fermare il lavoro, la distribuzione delle terre, di affermare la subalternità dei lavoratori. Non bisogna dimenticarlo perché è troppo facile costruire una narrazione per cui la responsabilità delle imprese diventano responsabilità dei lavoratori. Oggi questa giornata serve per rimettere in cima il lavoro e la dignità delle persone e per sottolineare che ben poco si fa per creare lavoro e prospettive per i giovani” ha dichiarato Susanna Camusso.
Il Segretario Generale della UIL ha invece calcato la mano sulla criticità della situazione attuale: “È un primo maggio di impegno e non di festa perché c’è poco da festeggiare. Siamo qui per rivendicare l’opportunità di far riprendere l’economia del Paese mettendo al centro del dialogo l’articolo 1 della Costituzione, cioè che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. E vediamo di non affondarla sul lavoro” e ancora “Bisogna continuare a lottare per affermare i valori della legalità sempre, contro tutte le mafie e contro tutti i soprusi. In questo senso, anche il mondo del lavoro ha rappresentato un argine alle ingiustizie sociali, ma oggi non è giustamente e adeguatamente valorizzato. Esso è l’architrave su cui è fondata la nostra Costituzione ed in cui affondano le nostre radici. Dobbiamo recuperare il senso profondo di quel valore per puntare allo sviluppo di tutto il Paese. Perché questa speranza si trasformi in realtà, occorre cominciare dal nostro Mezzogiorno”.
Furlan ha parlato invece all’Avvenire: “Il lavoro è il dna dei valori di una comunità e della persona, perché racchiude in sé anche i concetti di solidarietà, giustizia, eguaglianza e crescita di un Paese. Certo, l’emergenza di maggiore attualità oggi è proprio il lavoro: la sua mancanza, il lavoro che si perde, che si ha paura di perdere o che non si trova. Al centro del Paese occorre rimettere crescita, sviluppo e ‘buon lavoro’”.
Quello che emerge è un’evoluzione del conflitto sociale. Dai latifondisti pronti ad appoggiarsi alla mafia, agli imprenditori pronti a precarizzare il mondo del lavoro. Una ricerca della flessibilità ad ogni costo che continua a causare enormi disparità sociali. Il tema principale di questo 1° Maggio è quindi quello di rimettere al centro il lavoratore, partendo dai suoi diritti fondamentali.
Alla cerimonia non potevano mancare i rappresentanti dell’Associazione Portella, che chiedono a gran voce gli atti istruttori della Procura di Palermo per far piena luce sulla vicenda. “Abbiamo chiesto tutto quello che c’era e abbiamo pubblicato tutto quello che è a nostra disposizione” la replica della presidentessa della commissione Antimafia.
Molto toccante la testimonianza di Serafino Petta, ottantaseienne sopravvissuto all’attacco.
“Ci eravamo dati appuntamento per festeggiare il Primo maggio ma anche l’avanzata della sinistra all’ultima tornata elettorale e per manifestare contro il latifondismo. Non era neanche arrivato l’oratore quando sentimmo degli spari. Avevo 16 anni, pensavo che fossero i petardi della festa, ma alla seconda raffica ho capito. Ho cominciato a cercare mio padre, non l’ho trovato. Quello che ho visto sono i corpi distesi per terra. I primi due erano di donne: la prima morta, sua figlia incinta ferita. Questa scena ce l’ho ancora oggi negli occhi, non la posso dimenticare”. Continua poi a raccontare dei mesi successivi e delle difficoltà per la conquista dei diritti nel corso degli anni: “Volevano farci abbassare la testa perché lottavamo contro un sistema in cui poche persone possedevano migliaia di ettari di terra e vi facevano pascolare le pecore, mentre i contadini facevano la fame. Un mese dopo successe però una cosa importante; tornammo qua a commemorare i morti senza paura, “Non ci fermerete”, gridavamo tutti. Non ci hanno fermati. Abbiamo cominciato la lotta per la riforma agraria e nel ‘52 abbiamo ottenuto 150 assegnatari di piccoli lotti. Ma neanche loro si sono fermati. A giugno bruciarono sedi della Cgil e partito comunista, poi nel mirino finirono anche i sindacalisti”.
Una storia di resistenza da non dimenticare.