Lombardi: Il lavoro sarà la nostra scommessa             

 

L’Assemblea Costituente non provvide soltanto a mettere a punto la nuova Costituzione, ma svolse le normali attività legislative e di controllo di una Camera, compresa quella relativa alla concessione della fiducia ai governi. Nella seduta del 19 luglio 1946 era in discussione proprio il voto sul nuovo esecutivo De Gasperi (il secondo) a cui aderivano Dc, Psiup, Pci e Pri. Il leader democristiano aveva rassegnato le dimissione del suo primo governo ventuno giorni prima, nelle mani dell’appena eletto Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola. Nel corso di quel dibattito, Riccardo Lombardi segretario di una forza politica (il Partito d’Azione) che aveva deciso di rimanere fuori dall’esecutivo, prese la parola per indicare quello che a suo parere era il più grave problema dell’Italia: l’occupazione. Se non vinceremo questa scommessa, diceva il leader, vuol dire che avremo fallito. Nel 1946 due milioni di nostri connazionali non avevano un lavoro. Oggi il tasso di disoccupazione supera l’11 per cento e le persone che hanno perso il lavoro, lo cercano inutilmente, sono forzatamente “a riposo” perché in mobilità o in cassa integrazione, non lo cercano nemmeno perché sfiduciate e sicure di non trovarlo, sono circa sei milioni. Questi numeri, alla luce di quanto disse quel giorno Lombardi, rappresentano la più inappellabile condanna per le classi dirigenti che si sono succedute alla guida di questo Paese. Rileggere questo discorso che riproponiamo nell’integrale stesura del resoconto parlamentare, può essere utile soprattutto per quei giovani che vorrebbero, nelle stanze del Palazzo, costruire una nuova Italia, perché nessun futuro è in grado di edificare chi non conosce il proprio passato, finendo, alla fine, semmai solo per alimentare incongrue e inutili dibattiti come quello sui veri o falsi partigiani. Abbiamo sempre più bisogno di scelte serie non di spot elettorali, soprattutto per fermare una deriva che già settant’anni fa a Lombardi appariva esiziale. Vox clamantis in deserto.

-di RICCARDO LOMBARDI- *

Onorevoli colleghi, faccio anzitutto una solenne promessa: quella di attenermi rigorosamente all’ordine del giorno il quale reca la discussione sulle comunicazioni del Governo, cioè sulle comunicazioni e sulla politica del Governo e non sulla Costituente, perché le questioni all’ordine del giorno della Costituente le discuteremo in sede competente.

In questo momento è importante – perché il Governo deve pure agire, e non può aspettare, e deve agire, col mandato della  Assemblea – sapere se e fino a che punto noi approviamo le dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi.

 Io voglio parlare su questo punto, a nome del gruppo dei miei amici del Partito d’Azione, e dire che cosa pensiamo, quali dubbi, quali suggerimenti abbiamo da esprimere sulle dichiarazioni del Governo: una critica costruttiva, perché nessuno più di noi è interessato a che questo Governo non fallisca, perché il fallimento di questo primo Governo democratico non sarebbe il fallimento di un qualunque Governo: sarebbe un fallimento che travolgerebbe molte cose che ci stanno profondamente a cuore.

Si è parlato qui di ordinaria amministrazione. Non si persegue una ordinaria amministrazione con due milioni di disoccupati nel Paese. Il Governo che in questo momento ci sta davanti deve avere una amministrazione di eccezione, una amministrazione la quale essendo limitata a pochi mesi e non potendo risolvere tutti i problemi, deve affrontarne, centrarne alcuni, e quelli imperiosi risolverli e presentarsi davanti a noi dopo averli risolti.

Quello che noi vediamo di strano nelle comunicazioni del Presidente del Consiglio è appunto questa genericità, questo eccesso di carne al fuoco: troppe cose si vogliono risolvere. Sembra che tutto sia sullo stesso piano, direi su un piano uniforme, quasi piatto; molte cose, troppe cose, quando importante per un Governo chiamato ad affrontare una situazione di emergenza, sarebbe proprio centrare quell’uno o quei due problemi essenziali, quelli che effettivamente dominano la situazione in questi mesi che ci separano dalle elezioni legislative e dalla costituzione del nuovo Governo.

Ora, a mio avviso, il vero problema, il problema centrale che il Governo deve affrontare, se vuole essere un Governo e non una accolita di politicanti, è il problema della disoccupazione. Non c’è nessun altro problema in questo momento, compreso quello dei salari – me lo consentano i miei amici della Confederazione Generale Italiana del Lavoro – che sia così essenziale come quello della disoccupazione. Se faremo arrivare il Paese fra un anno ancora con due milioni o più di disoccupati, avremo perso la partita, anche se avremo consentito agli operai occupati di avere migliori salari.

Ora, il problema dei disoccupati non si può affrontarlo coi metodi dell’ordinaria amministrazione, voglio dire col metodo degli espedienti, anche costosi, coi quali è stato affrontato fino ad oggi. Non si può di questo problema, che è anche un problema, che è anche problema morale, oltre che politico, fare un problema che abbia la stessa statura, lo stesso rilievo di tutti gli altri. Questo è un problema essenziale e tutti gli altri punti di vista devono essere fatti convergere su di esso. Si sacrifichi qualunque altra cosa,  si sacrifichino anche dei principi, ma il problema della disoccupazione deve essere risolto. E per essere risolto c’è tutta una politica che deve essere indirizzata.

Io ho scritto già in questo senso, forse, in modo eccessivamente colorito di una politica impopolare; tuttavia bisogna avere il coraggio, in un momento come questo, anche di affrontare una politica impopolare, perché quello che noi oggi stiamo rischiando è di creare una discrepanza, un solco fra gli operai disoccupati e gli operai occupati. Quello che noi stiamo rischiando è di far nascere il sospetto e la convinzione che ci sia una parte della popolazione (quella fortemente organizzata per esigenze tecniche del proprio lavoro), la quale pieghi la politica del Governo ai suoi interessi,  trascurando invece la manodopera disoccupata, l’immensa moltitudine non soltanto dei reduci e dei braccianti dell’Italia Meridionale in special modo vi è questa forte necessità di avere bassi i prezzi per poter comprare quei prodotti industriali, quel minimo di prodotti la cui acquisizione è già assicurata per molte parti d’Italia. Altrimenti si avrebbe laggiù una miseria spaventevole.

E’ necessario che questa gente abbia il minimo indispensabile per una vita civile. Il problema della disoccupazione coincide quindi col problema dell’Italia meridionale.

Ora, di fronte a questi problemi vi è una politica finanziaria da studiare; perché evidentemente tutti questi problemi si risolvono anche con i lavori pubblici, ma non soltanto con quelli. Sarebbe erroneo pensare che la disoccupazione si può risolvere senza altro con il sistema delle opere pubbliche.

Quindi c’è effettivamente un problema che non è tanto di lavori pubblici quanto di bassi prezzi, e c’è un problema finanziario  per cui si tratta di non inaridire le fonti con cui si deve acquisire il reddito. L’onorevole Corbino sa  quanto ci siamo trovati in contrasto in seno al precedente Governo circa la politica finanziaria straordinaria. Io riconosco che l’onorevole Corbino si è assunta la impopolarità  di una politica che era di tutto il Governo.

Effettivamente è stato il Cireneo di una politica di cui tutti eravamo responsabili, anche  quelli fra di noi che l’avevano avversata, ma che in definitiva l’avevano  consentita restando al Governo. Io sostenni allora la necessità di una politica di cambio della moneta e di imposizioni straordinarie. Oggi il problema è mutato perché noi abbiamo la essenziale necessità di far rifluire nel circolo produttivo i capitali che non riusciamo né a censire, né a colpire con una imposizione straordinaria. Se le nostre industrie fallissero, se non fossero in gradi di poter procedere alla loro attività produttiva, se economicamente fossero a terra, se i capitali non potessero affluire alle industrie, sarebbe una situazione assai grave quella che si verrebbe a determinare.

Dobbiamo vedere quali sono i mezzi e se questi mezzi fossero anche l’abbandono, per esempio, dei consigli di gestione, della nominatività dei titoli, io affronterei anche questa eventualità con il coraggio con cui questi problemi si affrontano, purchè le nostre industrie non muoiano e i nostri operai possano lavorare. Qualunque politica, dunque, purché sia veramente una politica realistica, dev’essere affrontata con tutto il coraggio per le masse popolari.

Invece che a tutti i mezzi i quali potevano essere considerati opportuni per fronteggiare il basso livello dei salari (basso, intendiamoci bene: quando si dice che gli operai chiedono troppo, bisogna viverci in mezzo per sapere quale è la vita dell’operaio onesto, di quello che ha la famiglia sulle spalle; vediamo tutti che cosa sia il livello di vita degli operai) si è ricorso all’espediente del premio della Repubblica. Quando si pensa di poter provvedere ad una situazione di questo genere, che è una situazione estremamente penosa, con l’espediente del premio della Repubblica, io dico, illustre Presidente, che questo è il peggiore espediente che ha scelto come programma di Governo.

Oggi il premio si deve pagare, una volta che ormai il mercato ha già reagito con l’aumento dei prezzi. Ma se il Governo o i partiti che hanno discusso il programma di Governo, al momento in cui hanno discusso questo espediente si fossero ricordati del precedente, che noi, specialmente al Nord, ricordiamo bene, il precedente del premio della liberazione, non avrebbero potuto non considerare quelle conseguenze economiche che era facile prevedere.

Il mio amico Sereni  si ricorderà che io fui il solo ad oppormi a che il premio fosse pagato, perché abbiamo regalato alla borsa nera o gettato dalla finestra una ricchezza di circa 35 miliardi. Avevo allora proposto che il premio di liberazione fosse tradotto in risparmio obbligatorio.

Questa imposta del valore di circa 35 miliardi si poteva prendere  sotto forma di una imposizione straordinaria. In realtà non è una forma straordinaria di imposizione, è una vera e propria imposta sulla occupazione della mano d’opera. E’ chiaro che l’industria idroelettrica che impiega pochi operai sarà pochissimo colpita, al contrario dell’industria edilizia che ne impiega moltissimi; comunque,  in tempi di emergenza si può anche passare sopra a tutto questo. C’è necessità di far soldi, c’è un’imposta straordinaria da prelevare e si preleva. Ma c’è un modo razionale di spendere.

Il Governo aveva due mezzi:, tutti e due buoni,  per spendere questi 30-35 miliardi del premio della Repubblica: o poteva provvedere a dei servizi sociali organizzati, oppure poteva provvedere a dei lavori pubblici.

Cosa si poteva fare con 30 miliardi? Con 30 miliardi si sarebbe potuto occupare per sei mesi un quarto dei nostri disoccupati; avremmo potuto raddoppiare il programma delle ricostruzioni ferroviarie; avremmo potuto fare opere immense in Calabria e in Sardegna; si sarebbero potuti costruire 100-150 mila vani di abitazione per la povera gente.

E’ vero che mi si può obiettare – e forse l’obiezione è quella che è stata il fondo della cedevolezza di coloro che hanno discusso questo programma – che non tutto quello che si potrebbe fare si può fare. E’ verissimo; a qualunque programma forzato di lavori pubblici manca la base delle materie prime e dei manufatti in grandissima parte. Ma allora, per questa parte, il Governo aveva un’altra alternativa: aveva appunto i servizi sociali organizzati. Poteva pensare a tanti servizi diretti a diminuire di fatto il costo della vita. Con 30 miliardi si possono bene organizzare – anche in un Paese in cui i gangli della vita sono da tanto tempo interrotti – dei servizi sociali. Quando pensiamo che siamo in un Paese dove la cifra degli analfabeti è spaventosa (sono milioni e milioni gli analfabeti), è possibile che non si riesca ad organizzare un servizio sociale diretto ad un insegnamento straordinario che utilizzi tutte le forze disoccupate? Un geometra, un ingegnere può benissimo  fare il maestro in caso di emergenza. E’ possibile che non si riesca a fare tali scuole? Vi sono tanti modi per spendere il pubblico denaro e per ovviare alla disoccupazione, ma vi è anche un mezzo moderno: l’esercito volontario del lavoro, sul quale io insisto da tanto tempo.

In una delle sedute del Consiglio dei Ministri dell’ultimo Governo, quando io insistei sulla necessità di giungere ad una politica razionale di occupazione di fronte alla politica degli espedienti, l’onorevole Togliatti mi disse  che quel Governo non era in grado di affrontare questo problema. Caro Togliatti, il Governo attuale non è quello della esarchia.  Fa parte di questo Governo l’onorevole Sereni, uomo della resistenza, che è proprio al suo giusto posto, all’assistenza. Caro Sereni, il problema della disoccupazione non si affronta con l’imponibile del 5 o del 10 per cento sulle amministrazioni pubbliche e sulle aziende private. Ciò non fa che disorganizzare le amministrazioni, senza portare nessun sollievo alle famiglie del disoccupati. Tu puoi veramente organizzare l’esercito volontario del lavoro. Quello che hanno fatto le dittature è possibile che non lo possa fare la democrazia? E’ possibile che noi dobbiamo ancora usare, per affrontare il problema della disoccupazione, i metodi dell’anno 1000, dei trogloditi, dell’economia medievale?

Io penso che su questa strada il Governo potrà fare molte cose. Potrà fare moltissimo se avrà, naturalmente, un programma serio. Io mi preoccupo del tandem Corbino-Scoccimarro: è un tandem in cui i due ciclisti pedalano in senso opposto, a meno che non abbiano trovato un terreno comune di intesa: Io stimo moltissimo tutti e due, ma la politica di un Governo, anche se politica di emergenza, la si fa con unicità di direzione. Non è molto importante che i Ministeri delle finanze e del tesoro siano unificati.  L’importante è che questi due Ministeri abbiano una politica in una stessa direzione e che il Governo, nel suo complesso, assuma la sua responsabilità anche per l’opera dei diversi  Ministri, in modo che non si ripeta, ad esempio, quello che è avvenuto nel passato Governo, e che doveva avvenire necessariamente, data la costituzione meccanica onde era formato, e cioè che i rimanenti membri del Governo, che si era appena costituito, non sapevano quale politica avrebbe fatto il Ministro del tesoro.

Nella prima riunione di quel Consiglio dei Ministri il nuovo Ministro del tesoro dichiarò di essere contrario al cambio della moneta, fra la sorpresa generale, perché evidentemente non era stato interpellato su questo grave problema politico. Il Governo della esarchia era purtroppo così fatto: vi era un notevole campo di arbitrio nelle amministrazioni dei vari Ministeri. Ma il nuovo Governo è il primo Governo di maggioranza, anche se di una maggioranza composita, ed è stato composto sotto la responsabilità del partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana;  quindi quel certo gradi di responsabilità complessiva, che non potevano avere i precedenti Governi, ha il diritto di averlo questo Governo, il quale deve impostare un programma e quando lo ha impostato deve portarlo in fondo e deve essere giudicato non soltanto da questa Assemblea, ma dal Paese.

Io lodo il Governo per l’estrema cautela con la quale l’onorevole De Gasperi ha parlato del programma di socializzazione. La socializzazione è una cosa molto seria. Occorre non improvvisarla e deciderla in sede di Costituente.

A me dispiace molto che l’onorevole Labriola abbia parlato di socializzazione, di socialismo aziendale, in termini che direi quarantotteschi. Il socialismo aziendale in una economia moderna è piuttosto strano. Egli ci ha parlato di diversi socialismi, ma intendiamoci bene: oggi, se vogliamo avere degli esempi tipici dobbiamo riferirci al solo modo di fare andare avanti le fabbriche socializzate, e noi sappiamo che questo è il modo usato in Russia.  Non scherziamo su sistemi che sono sistemi di un’economia povera o con sviluppo embrionale, perché è verissimo che vi sono diversi socialismi, ma c’è un solo socialismo serio e quello è un socialismo…

Labriola. La socializzazione fu proposta un secolo fa.

Lombardi Riccardo. Si è parlato di socializzazione di oggi e dobbiamo adattarci alla soluzione di oggi.

E passiamo al programma agrario sul quale il Presidente del Consiglio è stato molto breve, ma coraggioso, tanto da spaventare più del necessario. Forse il Presidente del Consiglio non ignora che si è molto equivocato su quei famosi 100 mila ettari da appoderare, che sono divenuti perfino… 10 milioni. C’è stato un illustre professore universitario il quale domandava come mai si pensasse di appoderare quasi la metà della superficie agraria del Paese. Indubbiamente c’è del serio nel programma agrario del Governo. Pensare però che questo sia un programma che possa essere il primo avviamento della riforma agraria, mi pare eccessivo, anche perché ha qualche cosa di confusionario, qualche cosa che combina i decreti Visocchi e Falcioni con la legge Tassinari. Quello che meraviglia è che ci si voglia servire, in sostanza, degli stessi organi. Ora, a mio avviso, conveniva che il Governo fosse più modesto nel programma agrario, ma che enunciasse un programma che fosse sicuro di poter realizzare, e facesse entrare in questo programma alcune zone tipiche di disoccupazione, centrasse cioè alcune zone veramente sismiche di disoccupazione, con l’impiegare tutte le forze, senza diluire questi provvedime4nti, per modo che si presentano in una maniera veramente confusa, tanto che non si sa se i 100 mila ettari che devono essere appoderati sono quelli stessi che bisogna espropriare.

Effettivamente io penso che quando il Governo presenterà un piano organico su questo punto noi avremo qualche cosa di più tranquillante; ma oggi come oggi, data l’inefficienza degli organi esecutivi, dato anche il fatto che essi sono anchilosati, dalla lunga inoperosità, io penso che si possa fare solo un programma di emergenza, dato che il Governo ha pochi mesi dinanzi a sé. Quanto al grande programma agrario, non può essere compito di questo Governo, in quanto è compito della Costituente.

Vorrei ancora dire poche parole circa la politica interna, circa la politica scolastica e circa la politica estera.

Politica interna: il Governo si è limitato ad alcune considerazioni ovvie. Evidentemente al fondi delle dichiarazioni del Governo sta l’assicurazione che l’ordine pubblico sarà mantenuto. Questo è troppo poco. Io ho una cattiva o buona memoria di quello che avveniva nei Governi di prima del fascismo, quando tutti i Governi che si presentavano, o quelli che si proponevano all’approvazione del Parlamento, si presentavano col programma di ristabilire l’autorità dello Stato.

Ma nessuno aveva il coraggio di dire che ristabilire l’autorità dello Stato significare disarmare il fascismo. Ora il Presidente del Consiglio sa e non può non sapere, perché il Ministro degli interni, che c’è nel Paese una viva preoccupazione per le conseguenze dell’amnistia. E’ chiaro che l’amnistia, e più che l’amnistia il modo come è applicata, col ritorno al Paese di delinquenti tipici fascisti, conosciuti da tutti, crea veramente uno stato di perplessità, uno stato di incertezza ed anche in qualche posto uno stato di esasperazione veramente inquietante. Ora che cosa noi possiamo fare di fronte a questo? Quale tranquillità possiamo dare al Paese? Accanto alla generosa legge sull’amnistia diamo la prova di essere fermi nella repressione delle mene fasciste. Noi abbiamo una legge che interdice la riorganizzazione del fascismo e la propaganda fascista. Ma questa legge si è dimenticata di dire che cosa si intende per fascismo, così che qualsiasi organizzazione fascista si può fare, purché abbia l’accorgimento di non chiamarsi tale e di non mettere i fasci littori nelle tessere. Ora tanto più che questa legge sta per scadere, il Governo ha il dovere di precisare con una legge sostanziale su questo punto quali sono i limiti e gli estremi dell’attività fascista, di tranquillizzare il Paese ed assicurarlo che questi signori, verso i quali siamo stati generosi, avranno le unghie tagliate per sempre. Quando si leggono nei giornali cose di questo genere: “Avete pugnalato il vostro Paese per darvi un regime che avrebbe dovuto significare pace e solidarietà umana. Avete ucciso il Paese e sopra il suo cadavere ballano gli stranieri che voi avete aiutato a vincere. Aveva ragione il deputato Patrissi: sciacalli!”, io mi domando,  io che sono partigiano della libertà di stampa, se non c’è qualche cosa da fare, se i Prefetti ed il Ministro degli interni esistono per qualche cosa! (Applausi a sinistra).

Quando si sa, perché a Roma tutti sanno, che c’è un accentramento di capitali in questo momento per fare giornali da affidare a dei fascisti appena usciti in seguito alla amnistia, io domando: quando c’è una corsa di investimenti di capitali in giornali, la quale, se riuscisse, ridurrebbe fra pochi mesi tutti i giornali politici di partito al formato di bollettini parrocchiali, domando se non c’è qualche cosa di serio, di energico da fare, perché la stampa non si può lasciare soltanto nelle mani di coloro che hanno i soldi mal guadagnati e che ancora non siamo riusciti a strappare loro dalle mani. (Applausi a sinistra). Pertanto il Governo deve proporre e sottoporre all’Assemblea nel giro dei mesi che ci separano dal termine dei suoi poteri, una legge per disciplinare la materia.

Sulla scuola sarò estremamente moderato. L’onorevole Gonella è andato al governo della pubblica istruzione dopo che l’onorevole Togliatti ha tolto il “non expedit” pronunciato dai socialisti. Io mi domando se egli si sia reso conto delle ragioni per le quali il Gruppo socialista aveva posto il “non expedit”. Evidentemente c’era una preoccupazione. Si era parlato della candidatura Colonnetti, che ad un certo momento è tramontata per dar luogo a quella Gonella. Evidentemente questo ha suscitato perplessità ed inquietudini legittime. Però c’è la dichiarazione del Presidente del Consiglio circa il Ministero della pubblica istruzione, dichiarazione molto ellittica, della quale, quando l’ho sentita, non ho capito niente. C’è stato tutto un giro di parole per dire quello che avrebbe fatto il Ministro della pubblica istruzione e quello che non era stato fatto dal Ministro della giustizia. Non lo avevo capito. Poi ci ho pensato e devo ritenere che il Presidente del Consiglio abbia detto questo: che il Ministro dell’istruzione rispetterà lo status quo; questa è l’interpretazione che penso più logica e più ovvia (Segni di assenso del Presidente del Consiglio) e che in questo momento il Presidente del Consiglio conferma  e di cui mi compiaccio. Ora c’è uno status quo giuridico che nessuno pensa di discutere fino alla costituzione. C’è però in atto un’applicazione in materia scolastica: del concordato è stato fino ad oggi fatto un uso relativamente moderato.

Io ritengo che il Presidente del Consiglio in questa sua dichiarazione abbia inteso rassicurare l’Assemblea che non soltanto nulla sarà innovato in questi mesi in sede legislativa, ma che nulla sarà innovato nel costume e negli usi, nell’applicazione della legge. Se questo è, credo che possiamo essere tranquilli sull’attività dell’onorevole Gonella in seno al Ministero della pubblica istruzione. (Nuovi segni di assenso del Presidente del Consiglio).

Politica estera. E’ stata una corsa curiosa: per il Ministero degli affari esteri si giocava a chi non doveva essere Ministro degli esteri;  e si giocava contemporaneamente a chi doveva essere Ministro dell’interno. Il che suscita il grave sospetto che durante questi mesi, si voglia governare ancora col sistema dei prefetti, cioè mantenere quello Stato accentratore e ‘poliziesco che tutti deploriamo. C’è una curiosa concordanza sul regime autonomistico, sul quale tutti si dichiarano d’accordo; però vogliono che i prefetti continuino a fare quello che hanno fatto fino ad oggi. Se vogliamo sul serio l’autonomia dobbiamo cominciare a fare qualche cosa. E ciò significa semplicemente non servirsi dei poteri discrezionali dei prefetti,  come si è fatto fino adesso. Parlo con esperienza personale, perché sono stato prefetto, e dico che si possono molto limitare i poteri discrezionali dei prefetti,  se si vuole preparare sul serio il funzionamento autonomo del comune e della regione (Applausi).

Questa corsa al Ministero dell’interno è giustamente sospetta a una buona parte dell’Assemblea.

L’onorevole De Gasperi ha presentato un programma di politica estera moderato e fermo, che credo tutti approviamo.

L’onorevole De Gasperi potrà essere criticato, però dobbiamo riconoscergli il merito che egli ha sempre voluto sottrarre il nostro Paese al dominio di uno di quei blocchi che si vanno formando in Europa. Egli non ha mai giocato sui dissensi; egli non ha mai cercato di impegnare la politica italiana in questa linea; questo è un grande merito che dobbiamo riconoscerli. Che poi questa buona volontà abbia potuto essere frustrata, dipende in gran parte dallo stato di fatto, perché siamo in regime di occupazione. E’ chiaro che il sospetto esiste sempre, per il Paese occupato, di essere al servizio della parte occupante.

Se mai un’osservazione c’è da fare  alle precisazioni sulle nostre rivendicazioni che l’onorevole De Gasperi, quale Ministro degli esteri, ha fatto davanti alla Costituente, è che non ha tenuto forse conto sufficiente di una alternativa: quella della possibilità di internazionalizzazione  non della sola Trieste. Se, ammessa l’idea della internazionalizzazione, si potesse ottenere l’estensione ad una zona più ampia, economicamente e politicamente vitale, forse creeremmo qualcosa di utile, qualcosa di europeo: una zona che potrebbe essere il terreno propizio perché i nostri rapporti con la vicina Jugoslavia siano quali noi li desideriamo.  Noi ci lamentiamo giustamente del torto che viene fatto al nostro Paese, ma non dimentichiamo che quando si contesta o si violenta la nazionalità della zona di confine, questo attentato non è soltanto all’Italia ma anche alla Jugoslavia perché è un attentato all’Europa.

Con la Jugoslavia si è scavato un abisso che bisogna cercare non diventi permanente. Non bisogna dimenticare la politica fatta verso la Jugoslavia da Bissolati, da Salvemini, da Sforza: abbandonare questa politica non potrebbe portare altro che al fascismo. Le esacerbazioni naturalmente conseguenti a queste evidenti violazioni del diritto nazionale possono portare ad una situazione di cui non possiamo non preoccuparci.

Si dice che non si tratta di nazionalismo. Ma di nazionalismo si tratta indubbiamente quando si sente dire, come si è sentito dire dal nostro illustre e venerando collega onorevole Orlando nella seduta inaugurale di questa Assemblea: “Se coloro che sono morti per la lotta di liberazione avessero potuto prevedere quello che avviene ora, sarebbero morti invano”. Mi sono sentito gelare il cuore, perché questo non è vero (Vivi applausi a sinistra).

Quelli che sono morti, sono morti per una grande idea, per un nuovo ordine in Europa e nel mondo (Applausi a sinistra – Interruzioni – Commenti al centro).

 E se oggi  questo loro ideale è sconfitto perché prevalgono ancora i vecchi imperialismi, perché le nuove idee non si affermano mai immediatamente, questo non vuol dire che i loro ideali siano stati vani. Sono ideali che hanno un valore permanente e noi saremo democratici in quanto sapremo mantenerli o portarli avanti.

 Nessuna soluzione dovrà essere scelta se essa ci dovesse condurre ad appartarci ringhiosamente dall’Europa e dal mondo: questo significherebbe ristabilire il fascismo.  Non possiamo più essere separati ed avulsi dal corpo della solidarietà mondiale. Per un popolo che si è battuto sempre contro il fascismo internazionale, dalla guerra di Spagna alla guerra di liberazione, c’è sempre modo di poter nobilmente approfittare di tutte le possibilità che sorgono nel consorzio mondiale perché la situazione non è rigida, ma mobile e non c’è soltanto la politica estera contingente, ma anche la politica internazionale sulla quale bisogna far leva e affidamento.

Non ho altro da dire.

Il nostro Presidente, onorevole Saragat, ha detto, nell’insediarsi alla Presidenza, che il volto della Repubblica sarà umano, e tutti lo abbiamo approvato. Io domando di aggiungere solo una cosa: il volto della Repubblica deve essere non solo umano, ma virile. (Vivissimi applausi. Molte  congratulazioni).

* Intervento all’Assemblea Costituente del 19 luglio 1946 sulla fiducia al secondo governo De Gasperi

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