La decisione di Cgil, Cisl e Uil di celebrare il 1° maggio a Portella della Ginestra a settant’anni dalla strage compiuta dalla Banda di Salvatore Giuliano, ci fornisce l’occasione per parlare di uno dei grandi misteri d’Italia. Non si volle all’epoca fare chiarezza sui mandanti di quell’eccidio e i comportamenti elusivi del governo e dell’allora ministro dell’Interno, Mario Scelba, resero incandescenti i rapporti tra maggioranza e opposizione. Questo piccolo pezzo di dibattito parlamentare che si svolse il 10 maggio del 1951 a Montecitorio fornisce non solo uno spaccato del clima ma ci trasmette quel senso di omertà che avvolse tuta la questione e che ancora oggi ci induce a parlare della strage di Portella della Ginestra come di un grande mistero di Stato, il primo mistero di stato, caratterizzato da bugie pubbliche, complicità sotterranee, comportamenti non proprio limpidi da parte di chi, al contrario, avrebbe dovuto fare chiarezza e consentire alla giustizia non solo di processare gli autori materiali dell’eccidio ma anche i mandanti che si muovevano sulla base di interessi politici ed economici. Mentre alla Camera ci si scontrava, a Viterbo si svolgeva il processo per la strage (era cominciato a Palermo ma poi era stato spostato per legittima suspicione). I protagonisti dello scontro parlamentare sono Giuseppe Berti, parlamentare comunista e il ministro dell’interno, Mario Scelba. Sullo sfondo altri due personaggi politici di primo piano: Mario Marino Guadalupi, socialista pugliese, e Girolamo Li Causi, comunista siciliano.
BERTI GIUSEPPE fu ANGELO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 5 giugno 1949, un anno prima dell’uccisione di Giuliano, un dirigente dei lavoratori siciliani, il senatore Li Causi, al Senato, si poneva il quesito: sarà arrestato Giuliano, sarà preso vivo, oppure lo ucciderete ? E concludeva dicendo che sarebbe stato interesse di tutti che -Giuliano avesse potuto dire chi gli aveva armato la mano a Portella della Ginestra.
Noi qui, adesso, lo domandiamo a lei, onorevole ministro. Ella sa che Giuliano si poteva arrestare e non uccidere. Ella sa perché le forze di polizia, o i confidenti inviati dalle forze di polizia, hanno ucciso Giuliano invece di prenderlo vivo.
Ebbene, noi affermiamo, a conclusione di cose che abbiamo per lungo tempo affermato, che non si è voluto arrestare, prendere vivo Giuliano, per timore che egli facesse rivelazioni sui legami politici che le forze del bantismo e della mafia hanno avuto ed hanno ancora con certi partiti governativi.
I due punti fondamentali, onorevole ministro, sono questi: 1°) sono o non sono queste le forze politiche che hanno armato e indirizzato contro il movimento popolare e progressivo la banda di Giuliano a Portella della Ginestra ?; 2°) sono o non sono queste forze le quali, non avendo potuto mantenere le promesse che avevano fatto a Giuliano e alla sua banda, ad un certo momento ne hanno deciso la liquidazione?
Creda, onorevole Scelba, esistono – a quanto sembra – due memoriali Giuliano: uno è quello che egli firmò e. con il quale si illuse di salvarsi, firmando in realtà la propria condanna a morte, è cioè il memoriale esibito il 13 giugno dell’anno scorso dall’avvocato Romano Battaglia a Viterbo, memoriale con il quale Giuliano stesso escluse di avere avuto mandanti; il secondo memoriale è quello che pare fosse nelle mani di Pisciotta (o di Giuliano nel momento della Sua uccisione), memoriale che si voleva comprare e nel quale Giuliano diceva chi aveva armato la sua mano a Portella della Ginestra.
Se vogliamo sapere chi ha armato la sua mano, prendete l’interrogatorio dell’imputato Genovesi, che narra come Giuliano ricevette delle istruzioni precise prima della strage di Portella e disse ai suoi: ”Giunta è l’ora delle operazioni, andremo a sparare contro i comunisti il 1°maggio a Portella della Ginestra”. ”Io replicai – dice l’imputato – che sarebbe stata una azione indegna colpire donne e bambini inermi: sarebbe stato meglio prendersela con i soli capi comunisti, ma Giuliano ribatté che bisognava fare l’operazione di Portella della Ginestra”. Al presidente che domandò al deputato Genovesi se conosceva il testo delle istruzioni, l’imputato rispose che Giuliano era molto riservato e non disse il nome del mittente. “Io pensai, però – aggiunse l’imputato – che provenisse da qualche esponente di partiti politici”.
Certo, onorevoli colleghi, doveva essere un impegno molto importante se riuscì a spingere Giuliano e la sua, banda a compiere un’azione come quella di Portella della Ginestra, e poiché, oltre Giuliano, conoscevano le stesse cose anche alcuni suoi luogotenenti (fra gli altri senza dubbio il luogotenente principale, Pisciotta) non c’era soltanto interesse a far scomparire Giuliano, ma anche a far tacere o a far scomparire, in una maniera o nell’altra, pure Pisciotta. Non si spiego altrimenti come e perché questo,bandito sia stato trasportato,- in istato di libertà, su una automobile o una jeep, senza manette e scortato solo da uno o due carabinieri, da Castelvetrano a Palermo, e come lo stesso Pisciotta abbia potuto, ad u n certo momento, far fermare la macchina e scenderne per andarsene da solo. Egli, evidentemente, si è messo in salvo perché, sebbene fossero stati assunti precisi impegni, sapeva che questi avrebbero potuto non essere mantenuti, così come non erano stati mantenuti con Giuliano. Pisciotta fu poi arrestato, ma lo fu dopo qualche tempo e nelle condizioni conosciute da chi ha seguito questi avvenimenti siciliani: egli fu arrestato da quel questore Mareano che fu successivamente trasferito telegraficamente a Livorno e che ebbe a pronunciare, al momento dell’arresto, la famosa frase ”Io, i banditi, li prendo vivi”.
Che voi avreste potuto arrestare Giuliano vivo non c’è dubbio di sorta: i suoi più stretti collaboratori erano già caduti nella rete della polizia, i principali punti di appoggio erano già venuti meno o erano addirittura al servizio della polizia stessa; la stessa mafia di Monreale, che era stata uno degli appoggi fondamentali del bandito, il quale nella cittadina alle porte di Palermo godeva dei maggiori aiuti, era divenuta confidente del corpo per la repressione del banditismo: due dei più importanti luogotenenti di Giuliano, Mannino e Badalamenti, erano addirittura stati arrestati dietro denuncia dei capi della mafia di Monreale il 19 marzo 1950, mentre Giuliano fu ucciso il 5 luglio.
Quindi, voi avevate tutta la rete dei collaboratori di Giuliano nelle vostre mani, avevate la possibilità di prenderlo. Ugualmente, erano al vostro servizio quei capimafia di Castelvetrano, di cui il collega Guadalupi ha fatto i nomi, i quali obbligarono (con gravi minacce, pare) l’avvocato De Maria a prendere in casa sua Giuliano, nella trappola in cui Giuliano doveva essere ucciso. Infine, voi avevate già nelle mani, come vostro confidente, Gaspare Pisciotta, il più autorevole e il più vicino collaboratore di Giuliano, l’uomo che poteva raggiungerlo in ogni momento, che aveva più influenza su di lui e che, quindi, poteva farlo arrestare ad ogni minuto. In questa situazione, pur avendo tutte le possibilità di arrestare questo bandito, è un fatto che Giuliano è stato ucciso e che gli si è impedito di parlare…
Onorevoli colleghi, si potrebbe parlare a lungo sulla strana maniera con cui il colonnello Luca ha trattato questa faccenda. Colonnello dei carab’inieri, comandante le forze di repressione del banditismo, si incontra da solo, da pari a pari, con Pisciotta, tenendo in bocca una capsula di veleno. E discute con Pisciotta, non lo prende, non lo arresta. Anzi, discute con lui e dà a lui il compito di assassinare Giuliano: sia pure fra banditi, mandante in assassinio. E gli fornisce un lasciapassare, a nome di Giuseppe Farace, che deve permettere a Pisciotta e a tutta la rete che circonda Giuliano di poter stringere il laccio attorno al capobanda. E tuttavia, malgrado si sapesse dove era, e malgrado Pisciotta lo raggiungesse e rimanesse con lui tre ore e mezzo in quella casa, in quella notte, Giuliano non viene arrestato; non viene preso vivo, ma viene ucciso nella maniera che .è stata descritta qui dall’onorevole Guadalupi.
L’onorevole ministro sa che, in fondo, la polizia non ha avuto soltanto recentemente dei confidenti intorno a Giuliano, ma li ha avuti sempre. Non ho bisogno di ricordare qui il nome del bandito Ferreri, che era a fianco di Giuliano come uno dei suoi immediati collaboratori, il quale era confidente dell’ispettore generale della pubblica sicurezza Messana e che fu ucciso dal capitano dei carabinieri Giallombardo. L’onorevole Scelba non ha mai risposto al quesito che abbiamo posto. I1 confidente Ferreri era a fianco di Giuliano quando Giuliano sparò sui comunisti, sui socialisti e sulle donne e bambini inermi a Portella della Ginestra. Quindi, il Ministero dell’interno, la polizia, la prefettura di Palermo dovevano sapere che si preparava l’eccidio di Portella della Ginestra.
Ma non soltanto questo.
Dopo il 1° maggio son venuti i fatti del 22 giugno, e il confidente Ferreri era sempre a fianco di Giuliano. I1 22 giugno nella zona di Partinico sono state attaccate le sezioni comuniste, si sono gettate delle bombe e vi sono stati morti e feriti. I1 confidente Ferreri sapeva ciò e la polizia doveva essere informata.
Intanto, che cosa accade a Viterbo? Io non voglio discutere sul modo con cui questo processo è condotto. Ma qui, di fronte a dei fatti che ci paiono di estrema gravità, ho il diritto di domandarmi: perché a Viterbo (e lo domando non in sede giudiziaria, perché, ripeto, non entro sul modo con cui è condotto il processo: ma in sede-politica) non è stato citato l’ispettore Messana, il qualea vrebbe potuto ,raccontare come il 1° maggio 1947, in una riunione presso il prefetto Vittorelli a Palermo, due ore dopo la strage, disse di sapere che era stato Giuliano e la sua banda a sparare sui comunisti? E lo sapeva perché Ferreri lo aveva informato. Perché a Viterbo non è stato citato il capitano dei carabinieri Giallombardo che uccise il confidente Ferreri e che aveva senza dubbio anche lui qualcosa da dire sulle imprese del bandito Giuliano e sull’atteggiamento della polizia e del Governo in questa faccenda ?
La verità voi la sapete: non è stato fatto nulla per trovare i mandanti. Noi abbiamo individuato i mandanti di Portella della Ginestra in forze politiche ben precise. Noi abbiamo indicato quali erano queste forze. I confidenti di polizia hanno detto più di noi, perché sapevano più di noi, ma i mandanti non sono stati colpiti, e Giuliano è stato ucciso perché non si voleva che si sapesse, non si voleva che dicesse chi sono stati i mandanti. Ed è stato ucciso appena gli è stato strappato il primo dei due memoriali, quello del 13 giugno, nel quale, evidentemente dietro promesse, egli diceva di non sapere chi fossero i mandanti.
SCELBA, Ministro dell’interno. Si è voluto stabilire una qualche relazione tra la fine del bandito Giuliano e l’episodio di Portella della Ginestra, soprattutto circa i mandanti del doloroso e triste episodio di Portella della Ginestra. Si è detto: voi avete arrestato gli esecutori materiali (e non si poteva negare la verità solare che è stata la polizia ad arrestare gli autori dei fatti di Portella della Ginestra), ma non avete fatto nulla contro i mandanti. Se non erro, proprio in questi giorni si svolge, dinanzi al magistrato ‘penale, il dibattito sui fatti di Portella della Ginestra. Direi che proprio in questo momento siede la corte di assise che giudica su quel triste episodio: è, infatti, il magistrato che deve giudicare non soltanto gli esecutori materiali, ma anche gli eventuali mandanti. A proposito di mandanti, a parte che l’accertamento della loro esistenza non è di competenza del Ministero dell’interno, si dimentica troppo spesso che in Italia il potere giudiziario è indubbiamente autonomo e che qualche volta il ministro dell’interno… (Proteste all’estrema sinistra). A me sembra di dire delle verità elementari, onorevoli colleghi dell’opposizione, ed io non comprendo le vostre proteste, dal momento che la Costituzione che conferisce carattere di autonomia alla magistratura, e la Costituzione l’abbiamo elaborata insieme. Proprio da parte vostra, anzi, se il ministro dell’interno ha avuto occasione di lamentare una certa lentezza nell’opera della magistratura, si sono levate alte grida contro questo presunto indebito intervento del ministro.
Dicevo, dunque, che accertare l’esistenza di eventuali mandanti spetta all’autorità giudiziaria, e la polizia, in quanto accerta l’esistenza di reati, agisce come polizia giudiziaria agli ordini del procuratore della Repubblica.
A proposito dei mandanti, ebbi occasione di parlarne al Senato quando si discusse di questo argomento. All’onorevole. Li Causi, che domandava appunto notizie sull’esistenza dei mandanti, io replicai: ”Vorrei aggiungere, onorevoli senatori, che se fosse a conoscenza dell’onorevole Li Causi o di altri l’esistenza di mandanti diversi da quelli già assicurati alla giustizia, essi (il senatore Li Causi e gli altri) avrebbero il pieno diritto (e una voce soggiunse: ” …e il dovere”) di denunciare alI’autorità giudiziaria tutte le responsabilità; perché la persecuzione dei reati è un atto dell’autorità giudiziaria”.