-di TERESA OLIVIERI-
L’Italia è un Paese con un ‘sottosuolo’ di risorse che finisce per essere sottostimato e spesso sminuito. È su questo che si è discusso e ragionato durante il quinto incontro seminariale di “Go Beyond”, organizzato dalla Uil, dalla Fondazione Nenni, dalla Feps e dal Forum dei Giovani.
Il primo a prendere la parola e a illustrare i primi cambiamenti di un Paese che si è ‘accorto’ solo recentemente del proprio patrimonio agricolo e ambientale è stato Oreste Pastorelli, deputato del Psi e membro dell’VIII commissione Agricoltura e Ambiente.
Le considerazioni dell’onorevole Pastorelli partono proprio da un cambiamento che riguarda innanzitutto il mondo del lavoro, dove nei prossimi decenni scompariranno alcune professioni, mentre resteranno soprattutto quelli creativi. Proprio puntando su un nuovo modo di fare sviluppo per il deputato bisogna investire sulla Green economy, recuperando sia il patrimonio storico-culturale e ambientale, sia sviluppando nuovi modelli occupazionali. Riscoprendo in questo modo e soprattutto tutelando le risorse agricole italiane. In Italia tutto questo, anche se con ritardo, sta già avvenendo. Dati alla mano, Pastorelli ricorda come siano già 385mila le aziende italiane, ossia il 26,5% del totale, che dal 2010 hanno investito in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, così da risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2. Inoltre sono ben 2milioni 964mila occupati nella nostra green economy, il 13,2% dell’occupazione complessiva nazionale. In futuro invece sono 249.000 le assunzioni previste dalla nostra economia ‘verde’ per quest’anno, il 44,5% della domanda di lavoro non occasionale. Quota che sale fino al 66% nel settore ricerca e sviluppo. Una ricchezza: 190,5 miliardi di euro il contributo dei green jobs al prodotto lordo del Paese, il 13% del totale complessivo.
Infine il deputato socialista ha ricordato come anche la politica sta facendo molto in questo senso: le misure attuate dalla XVII legislatura vanno dall’introduzione degli ecoreati nel codice penale, passando per quelle che tutelano il made in Italy e puniscono la contraffazione, fino ai finanziamenti che promuovono la mobilità sostenibile. Tutte misure volte a incoraggiare la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, oltreché dell’agricoltura.
Ma oltre al territorio, il Paese possiede risorse ‘umane’ che preferisce lasciare emigrare. Non si tratta solo dei cosiddetti ‘cervelli in fuga’, ma anche di professionisti e studenti costretti ad abbandonare i luoghi dove sono nati. È il caso ad esempio del Mezzogiorno, dove i giovani non solo emigrano, ma su cui non investono più. Antonio Candela, rappresenta un’eccezione e forse un buon punto di partenza per un’inversione di questa tendenza, il 36enne calabrese ha fondato in Basilicata Comincenter, una nuova piattaforma che punta sul codificare un linguaggio comune tra aziende alla ricerca di professionisti e le competenze di chi cerca lavoro. Si tratta di un nuovo hub tra la ricerca attiva nel lavoro e le digital skills. L’obiettivo è quello di creare non solo un servizio alle imprese che cercano nuovi spazi per rinnovarsi, ma di sviluppare nuovi strumenti per la realizzazione dei percorsi professionali ad hoc per ogni giovane e/o professionista.
Comincenter è nato con l’intento di creare opportunità e formazione dal punto di vista privato proprio in un territorio in cui spesso è tutto affidato ai fondi statali. “Il male peggiore per il Mezzogiorno a mio parere sono stati i contributi a fondo perduto che hanno annientato la meritocrazia, sulla quale il Paese dovrebbe ricominciare a scommettere”, afferma l’Ad di Comincenter.
Un passo alla volta Comincenter ha sfidato i pregiudizi di un meridione arrendevole e inattivo e oggi vanta partnership e protocolli di intesa con le maggiori piattaforme italiane ed europee che si occupano di giovani, di start up o di ricerca del lavoro e corsi di formazione.
Un’ultima scoperta interessante su una risorsa poco analizzata, ma di cui è in voga discutere è quella che riguarda i millenials. Maria Freitas, ricercatrice Feps e policy advisor working on democracy ci presenta un’interessante analisi sul rapporto dei giovani con i politici.
Da un’indagine condotta dalla Feps risulta che questa generazione si impegna politicamente, anche se non in modo convenzionale, inoltre non crede nelle forme di politica tradizionale per una crescente mancanza di fiducia in una politica carrieristica che va incontro alle esigenze della generazione precedente dimenticando e deludendo i millienials. A sorpresa poi dal rapporto risulta come, contrariamente a quanto sostiene l’opinione pubblica, questa generazione è ottimista e fiduciosa nel futuro. Dall’indagine risulta che le priorità e gli obiettivi a cui deve far fronte la politica, per i millenials sono un buon welfare (in particolare la sanità), l’educazione, il lavoro e una società equa. Ultima sorpresa che risulta dal rapporto della Feps è che i millenials, essendo ormai una generazione internazionalizzata, vorrebbero il riarmo e un esercito ben organizzato e finanziato, in quanto, in un mondo globalizzato, la pace non può essere più garantita.