Go Beyond: le tante facce del lavoro, dei servizi e del consumo

-di VALENTINA BOMBARDIERI-

Il lavoro: quello che non c’è, quello promesso, quello conquistato in maniera precaria. Mille facce di un problema che ovviamente non può che catturare l’attenzione dell’uditorio del quarto seminario del ciclo Go Beyond che si è svolto ieri nella sala Bruno Buozzi della Uil. Una giornata ricchissima di temi e interventi quella di ieri, sotto la regia degli organizzatori, la Fondazione Nenni, la Feps, la Uil e il Forum dei giovani. Con una parentesi sulla “politicità” del consumo (e sulle ricadute che ha avuto anche nelle mutazioni sindacali degli anni passati e, forse, anche degli anni a venire) e sul modo modo in cui coniugare in maniera più moderna la questione degli ammortizzatori sociali con le politiche attive del lavoro. Riecheggiano nella sala nomi, un po’ oscuri, ma ormai entrati nel gergo comune come Garanzia Giovani e Naspi.

E a proposito di Garanzia Giovani, la parlamentare del Pd, Anna Ascani, sottolinea che il nome dato a questa iniziativa che punta a immettere nel mercato quei ragazzi che non studiano e non lavorano, i famosi Neet, è piuttosto fuorviante se non proprio sbagliato perché in questo momento nessuno è in grado di dare garanzie e quella offerta è più che altro una opportunità, una via di uscita da una situazione carica di frustrazione. Garanzia Giovani è un tema che inevitabilmente divide anche perché in sala vi sono molti di quei ragazzi che avevano pensato, prendendo per oro colato il nome dato all’iniziativa, che quella sarebbe stata la strada di un nuovo e più felice futuro. Ora, però, la maggior parte di loro si ritrova con un carico di delusioni sulle spalle e diverse mensilità di stipendio in arretrato (anche se le statistiche ufficiali parlano di 62 giorni in media di ritardi, ma qui si viaggia sul terreno dei polli di Trilussa).

Anna Ascani ammette le lungaggini amministrative di Garanzia Giovani invitando al contempo a una seria e attenta analisi sulle opportunità di lavoro che bisogna creare. Anche se poi su questo versante bisogna intendersi. Certo non è una legge che lo crea direttamente. Ma una legge produce le condizioni per crearlo. E poi ci sono gli investimenti che sarebbe la strada maestra mentre il governo italiano ha scelto in questi anni quello delle facilitazioni contributive che hanno avuto risultati decisamente temporanei, se non proprio effimeri. Secondo l’onorevole bisogna accantonare le politiche giovanili per ragionare su politiche di sistema. Concentrarsi sull’alternanza scuola-lavoro come punto centrale di queste politiche. Per la parlamentare restano “distanze enormi tra le Regioni e le necessità di garantire ai giovani un’opportunità”. La platea, attentissima, valuta criticamente, come è giusto che sia. Comprende che tra le parole e la realtà si è creato uno iato. Tocca al sindacato svelarlo muovendo appunti alle contraddizioni di un sistema che fa leva su speranze puntualmente disattese.

Anna Teselli, ricercatrice della Fondazione Di Vittorio si affida alle slide che descrivono la situazione rosea di un 60% di assunzioni del Lazio e della Lombardia. Dall’altra parte, però, vi sono ragazzi che valutano la situazione più che sulle slide sulle esperienze concrete proprie e dei propri amici. È forte la sensazione tra molti di loro (e non è solo una sensazione) che oggi il lavoro sia sempre più maltrattato e che il lavoratore sia sempre più alla mercé del mercato, privo di difesa, ridimensionato nella sua dignità. Una condizione che emerge nel momento in cui Carlo Fiordaliso, nella parte dedicata alla politicità del consumo e sviluppata da Gianmario Mocera, dice chiaro e tondo che i diritti conquistati con grande sacrificio oggi sono in pericolo; grandi conquiste prima dimenticate e poi cancellate come le “150 ore” che consentivano ai lavoratori di studiare sfruttando facilitazioni che non erano la conseguenza di un grazioso dono del datore di lavoro, ma di vere e proprie riforme realizzate per via contrattuale (l’accordo dei metalmeccanici del 1973); oppure la legge sull’interruzione della gravidanza che si inseriva all’interno della visione di una maternità consapevole e accettata, oggi sabotata in ospedali in cui spesso manca un medico abortista anche perché chi accetta di farli poi viene penalizzato sul terreno della carriera.

Un discorso complesso che Mocera sviluppa partendo dal concetto di “sindacato dei cittadini” e al quale i partecipanti al seminario offrono una interpretazione che parte dalle sensibilità attuali. Un campionario bello, ricco e convincente. Anche perché a spiegare storicamente le radici di quella scelta c’è Franco Lotito, esponente del comitato scientifico della Fondazione Nenni, ma soprattutto protagonista di quella fase storica prima come segretario generale dei metalmeccanici della Uilm e poi come segretario Confederale. Un discorso che scivola sul ruolo del sindacato oggi, sulla sua capacità di essere soggetto autonomo, fuori dalle beghe politiche. Lotito spiega la necessità che il sindacato diventi effettivamente rappresentativo di quell’orizzonte completamente orizzontale popolato di giovani con contratti flessibili e precari. Devono poter, contare nel sindacato confederale, sottolinea, non solo in quello di categoria. Un anello nella catena della rappresentatività che va assolutamente saldato perché come negli anni Ottanta la Uil scoprì che la fabbrica non poteva essere il suo unico regno, adesso deve prendere atto che è a questo variegato e sconfinato mondo che bisogna offrire, speranze, prospettive e modalità di vero riscatto dalla paura. Insomma, dice Lotito, il sindacato non deve subire la politica ma la deve fare, sul suo terreno, ovviamente, e con i suoi mezzi. La parte più seminariale, quella del pomeriggio, introdotta da Mocera (che ha spiegato come la qualità della vita di una società dipenda dalla qualità dei servizi e come sul versante della tutela del consumatore-cittadino vi siano grosse contraddizioni a livello legislativo visto che le norme spesso non impongono ma prevedono solo più generiche “facoltà”), viene sviluppata e conclusa dall’assessore regionale al lavoro, Lucia Valente, giuslavorista di professione. E lei spiega che il limite del sindacato nei casi di accordi su situazioni di crisi (cita la vicenda Almaviva, con l’intesa accettata e i posti di lavoro salvati a Napoli e respinta con perdita di tutta l’occupazione a Roma) consiste nel ricercare una protezione salariale che possa durare il più a lungo possibile. A parere dell’assessore questo non agevola il rientro sul mercato perché quei lavoratori tenuti a lungo a bagnomaria finiscono per non acquisire quelle competenze che un mercato in continua evoluzione impone. A suo parere, la Naspi, cioè la protezione reddituale ridotta a soli ventiquattro mesi rientra proprio nel discorso dello sviluppo delle politiche attive del lavoro perché i sindacati, messi di fronte alla necessità di ricollocare in tempi brevi i lavoratori messi fuori da un’azienda sprofondata in una crisi irrimediabile, lavoreranno per costruire protocolli in grado non tanto di garantire un sussidio per cinque, sei, sette anni ma per produrre nuove opportunità di occupazione. Discorso inappuntabile ma che oggettivamente non sembra fare i conti con un paese con un tasso di disoccupazione tra i più alti d’Europa (sicuramente più alto della media europea, già elevata) e un tasso di occupazione tra i più bassi; un paese che non impiega i giovani ma stenta maledettamente a reimpiegare gli over 50 licenziati.

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