-di VALENTINA BOMBARDIERI-
Mentre Matteo Renzi prometteva di diminuire il lavoro precario e il lavoro in nero, a carte scoperte la storia sembra essere tutt’altra. Con il Jobs Act si è accentuato di molto l’uso dei voucher da lavoro. Ma cosa sono? Si tratta di tagliandi ideati con l’intento di favorire l’emersione di mansioni tipicamente legate al lavoro sommerso. Vengono utilizzati per il pagamento di tutte quelle prestazioni non regolamentate da un contratto perché svolte in maniera occasionale e discontinua oppure per prestazioni accessorie. Per dirla con l’Inps: “Attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7mila euro nel corso di un anno”.
Solo nel 2015 i voucher venduti sono stati 114.921.574 dal valore nominale di 10 euro. Un boom del 66,6% rispetto ai 69.172.879 dell’anno precedente. Singolare il caso della Sicilia, capitale dei voucher con due milioni e mezzo di buoni venduti in un anno. Il lavoratore dei dieci ne incassa solo 7.50 euro. Il 13% finisce nella gestione separata dell’Inps e il 5% sempre all’Inps come gestione del servizio e un 7% all’Inail come assicurazione per gli infortuni sul lavoro. Si acquistano alle poste o dal tabaccaio, dipende se il voucher ha natura cartacea o telematica.
I buoni erano stati pensati per quelle categorie che attendono di entrare nel mercato del lavoro o che ne sono uscite. E sono utilizzati anche per retribuire lavoratori scolarizzati, esperti, professionalizzati. E ancora: studenti, pensionati, cassintegrati, disoccupati a patto che non superino il tetto annuale di reddito (5.050 euro netti cioè 6.740 euro lordi). Limite che si riduce a 3.000 euro netti (4.000 euro lordi) se il lavoratori usufruisce di misure di sostegno al reddito (disoccupati, in mobilità) e si riduce ancora a 2.020 euro netti (2.690 euro lordi) per ciascun committente nel caso di prestazioni rese nei confronti di imprenditori, commerciali o professionisti.
Per i sindacati il boom dei voucher non è una buona notizia. Quei 114 milioni retribuiscono in buona parte mansioni che avrebbero dovuto essere regolarizzate in modo ben diverso. Molte non sono prestazioni accessorie ma impieghi continuativi con carattere di dipendenza.
Bisognerebbe riflettere sui diversi modi in cui il lavoro viene svolto, a partire da quelle vere e proprie forme di nuovo schiavismo denunciate da Papa Francesco, a cui a tutti gli effetti appartengono molte delle attività remunerate attraverso i voucher. Ci sono lavoratori che sono stati “svalutati” attraverso forme di pagamento che dovrebbero riguardare solo i rapporti saltuari e che invece vengono utilizzate per chi saltuario non è.
Perché c’è un altro fenomeno da sottolineare. I voucher spesso ormai coprono il lavoro in nero. Nel 2012 gli incidenti di lavoratori retribuiti con i ticket erano stati 436, nel 2014 si sono triplicati, arrivando a circa 1.400, per il 2015 non ci sono ancora i numeri definitivi ma il dato è in aumento. Raddoppiate anche le morti bianche dei voucheristi. Due nel 2013, sei nel 2014, quindici, per ora nel 2015.
E caso strano, coincidenza anomala, il pagamento del voucher coincide con il giorno dell’infortunio mentre in precedenza non risultava alcun rapporto tra il datore di lavoro e il lavoratore. Come spiega il segretario della Uil Carmelo Barbagallo “C’è stato un aumento dei morti sul lavoro, non perché sono aumentati gli incidenti, ma perché con i voucher si copre il lavoro nero. Il lavoro, anche quando è stabile, non è stabile. Il voucher è lavoro irregolare. Possono coprire con un voucher un morto in meno”.
Dobbiamo gridare più forte che chi ci toglie il lavoro ci toglie la dignità. E sperare che le cose cambino e attivarsi in questo senso e ricordarci che in un paese civile si lavora per vivere, non viceversa.