“Di fronte al giudicato penale è chiaramente il momento delle scuse”. Era il 6 luglio del 2012 quando l’allora capo della polizia, Antonio Manganelli pronunciò queste parole. Undici anni dopo il G8 e la vergogna di Bolzaneto, delle violenze, delle torture. Sedici anni dopo, infine, l’Italia riconosce ufficialmente quelle colpe e patteggia un risarcimento di 45 mila euro con sei dei sessantacinque cittadini che avevano portato il caso alla Corte Europea dei diritti umani. Una cifra irrilevante ma accompagnata dal riconoscimento italiano che su quelle persone a Bolzaneto ci si accanì con violenza e dalla presa d’atto che non c’erano leggi adeguate ad evitare ciò che accadde (la normativa sulla tortura manca ancora), una lacuna che il governo si è ancora una volta impegnato a colmare. Ma l’Italia ha garantito anche che organizzerà corsi per sensibilizzare i poliziotti al rispetto delle norme sui diritti umani.
Pressata dall’Europa, l’Italia ha leggermente risciacquato quella macchia. In uno Stato democratico i poliziotti devono poter contare sulla fiducia dei cittadini che venne, però, incrinata in quelle 48 ore di fine luglio, con racconti e scene più da paese sudamericano che da libera e civile nazione occidentale. Lo spiegò anche Manganelli quando affermò che dopo le sentenze la polizia doveva delle spiegazioni “ai cittadini che hanno subito danni ed anche a quelli che, avendo fiducia nell’istituzione-polizia, l’hanno vista in difficoltà per qualche comportamento errato ed esigono sempre maggiore professionalità ed efficienza”.
Chi come noi crede nelle istituzioni e crede che quelle istituzioni debbano essere difese da forze di polizia ispirate dai principi costituzionali, avrebbe preferito un “lavaggio” più rapido di quella macchia, semmai facendo autonomamente pulizia, chiedendo immediatamente scusa senza aspettare che al suo vertice arrivasse un Capo “aperto” e “sensibile”, figlio di quella Polizia che negli anni Settanta aveva colmato il baratro che si era creato nel rapporto con i cittadini attraverso un processo di democratizzazione che era sfociato nel riconoscimento della libertà sindacale e nella smilitarizzazione.
La polizia vista all’opera a Bolzaneto con quella di una trentina di anni prima fatta di giovani funzionari che credevano in una istituzione nuova, lontana dalle illiberali vocazioni scelbiane, non ha proprio nulla a che spartire. Quella fu un momento di grande, straordinario avanzamento; l’altra vista all’opera il 21 e 22 luglio del 2001, al contrario, l’esempio di un pericoloso arretramento. Una brutta storia che richiama evidenti responsabilità politiche perché se quelle dei dirigenti che attutirono, coprirono e negarono sono state insopportabili, quelle dei leader (Berlusconi, Fini, Bossi) che cavalcarono la tigre senza rendersi conto dei danni che stavano infliggendo alla democrazia non potranno mai essere cancellate. Nemmeno da un risarcimento milionario.