-di SANDRO ROAZZI-
Cresce la voglia di ricordare Totò, il principe De Curtis, con l’avvicinarsi del cinquantenario della sua morte. Bistrattato dalla critica (non tutta) in vita, la sua popolarità immensa, dovuta ad una autentica arte e non solo alla esilarante vis comica, ne ha impedito l’oblio, ha poi generato nei critici più giovani una sorta di complesso di Totò, che suggerisce loro di essere più cauti nelle stroncature; infine sta creando un clima di “incoronazione” del grande artista, giusto ma certamente molto tardivo. E si spera non falsamente retorico. Non lo merita.
Totò non ha mai lasciato la case degli italiani ed i suoi molti film, disprezzati dalla critica, rivivono con le sue battute che consolavano tanta gente dalle rinunce ed amarezze quotidiane rendendogli il piacere di un sorriso, di una risata di cuore. Come attore era tutto: maschera, attore, linguaggio del corpo e della parola. E quella critica che lo snobbava lasciando ai Vice di giudicare film già condannati in partenza ad un giudizio di mediocrità insignificante, non ha capito che quelle persone che stringevano con Totò un patto di complicità e di amicizia, non erano solo i campioni dell’arte di arrangiarsi, tipica espressione della comicità di Toto’, ma erano anche quei giovani e quelle donne che animeranno grandi lotte sindacali, sociali e civili che hanno cambiato negli anni ’60 l’Italia.
A loro Totò ha dato il dono di una risata scacciapensieri, loro hanno dato all’Italia prospettive di giustizia economica e sociale certamente migliori.
Questo rapporto sta dentro quello così saldo che si è formato fra Titò ed il suo pubblico. Ed una ragione c’e’: in Toto’, come ad esempio in Sordi, c’era la rappresentazione di un Italia reale, al limite con quella punta di amarezza che si ritrova invece ben più delineata in alcune sue poesie. Comicità surreale ma al servizio di un quotidiano riconoscibile da molti perché vissuto davvero.
In questo senso le voci isolate nella critica che cercarono di porsi in controtendenza rispetto al sottile disprezzo verso i film di Totò avevano più volte sottolineato questo legame, ma invano.
E in questo scenario anche la sinistra culturale del tempo si schierò supinamente sull’indifferenza prevalente, tranne forse con l’eccezione di Pasolini. E qui spunta il paradosso: proprio “Uccellacci ed uccellini” vede parte di quella stessa critica che arricciato il naso in precedenza, giudicare la performance di Totò come poco… adatta all’attore, costretto in panni artistici non suoi. La sinistra culturale era anche in questo caso succube di paraocchi ideologici incapaci di esprimere giudizi svincolati da paradigmi rigidi. Curioso semmai è il fatto di accostarsi alla tanto deprecabile critica borghese.
A detta di alcuni studiosi della vita di Toto’ forse l’unico film che raccolse giudizi positivi unanimi sulla prova dell’artista è “la Mandragola” di Lattuada. Un po’ poco se si pensa che Totò ha lavorato con i più affermati registi della commedia all’italiana e non solo. Del resto lui aveva anticipato tutti: “in Italia bisogna morire per essere apprezzati” ebbe a dire. E noi potremmo chiosare che servirono pure un bel po’ di anni per vedere quel riconoscimento. Eppure un intellettuale come Soldati nel lontano 1964 aveva scritto così del grande attore: ” nella tua carriera c’è’ qualcosa di indomito… grazie di averci tanto divertito”. Una carriera lunghissima, nella quale la sua umanità era diventata di esempio, raro perfino, senza il ricorso alla volgarità successivamente usata a piene mani nei film degli anni ’70 e ’80 per fare cassetta. Una carriera che invece aveva messo d’accordo la critica nell’applaudire senza riserve quando calcava i palcoscenici di tutta Italia.
Nel passaggio al cinema questo clima di favore divenne ancor più generale fra gli spettatori che non lo tradirono mai anche se dovevano andarlo a vedere nei cinema di seconda o terza visione. Mutò viceversa nella critica che quando non poteva trattenere le risa accusava la sceneggiatura o la regia di aver fornito all’attore un prodotto scadente. Fino a far scrivere sull’Unita’ di…”prodotti squallidamente raffazzonati…”. Intendiamoci non e’ che i film da lui interpretati fossero tutti dei capolavori della comicità, ma da qui ad usare lo strumento di una stroncatura a prescindere ce ne passa.
Eppure la personalità di Totò si presterebbe a considerazioni assai meno superficiali ed approssimative. Oggi comunque delle ” cattiverie” snobistiche del passato non resta traccia. Anzi sono quei critici ad essere dimenticati per non avere capito: peggio per loro ed amen.
Di Totò resta molto invece. I suoi duetti con altri grandi attori, scene memorabili, battute ripetute mille volte da chi le ha sentite e ci ha riso sopra, film che sono documenti fedeli di un’Italia che stava risollevandosi e che aveva bisogno anche di saper sorridere per uscire dalla miseria e da un duro lavoro con pochi diritti.
E che Totò fosse consapevole dello stato della società lo dimostrano alcuni suoi versi. Alcuni dei quali di sorprendente attualità come nella poesia che contrappone un furbo mendicante che fa i soldi ad un anziano dignitoso che invece soffre la fame: “chilo a Chiaia, misero e vergognoso, stanotte e’ morto ‘e fame, povero e dignitoso”. Oppure nel constatare amaramente che la vita non sempre è un dono:”…guerre, miserie, fame, malattie, cristiane addiventate pelle ed ossa, e tanta gioventù c’ ‘o culto ‘a fossa. Chissa nun è un dono, è infamita’”. Non sono molte le poesie con questi toni duri, assai di più quelle appassionate con al centro l’ amore, eppure anche queste “sociali” appartengono di diritto alla poetica di vita e dell’arte di Totò. È toccante rileggere una sua frase di scena da lui recitata…: “più ho voglia di piangere, più gli uomini si divertono; ma non importa, no, li perdono, un po’ perché essi non sanno… un po’ perché hanno pagato il biglietto. C’è tanta gente che si diverte a far piangere l’umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirla”.
Il “grazie Totò” a 50 anni dalla morte, insomma conserva intatte le sue ragioni. Il suo…ritorno fra noi, farà ancora bene. I suoi film faranno sempre ridere. La sua simpatia non si sgretolerà mai sotto il peso degli anni. Diciamolo: al dunque l’ha avuta vinta lui. TOTO’.
Totò vi risponde: “Al mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo paese, in cui però per venire riconosciuti qualcosa, bisogna morire”.