-di GIANMARIO MOCERA-
Leggo da Repubblica la notizia: domani sciopero dei trasporti pubblici a Milano, i sindacati, in modo unitario, chiedono al Sindaco Beppe (cosi veniva chiamato in campagna elettorale) Sala di ritirare una delibera che affida a gara la gestione di alcuni servizi accessori della mobilità pubblica, i parcheggi (le note strisce blu) e il bike scharing (le biciclette a noleggio) .
L’articolo fa notare che per la prima volta dopo diciotto anni c’è un’unità d’azione di tutti i sindacati; affidare a gara servizi svolti da ATM non si deve fare.
La notizia mi ha sorpreso e non nascondo la mia perplessità, una motivazione così non l’avevo mai ascoltata eppure ho fatto il sindacalista in CGIL per trent’anni. La mia perplessità nasce dal fatto che le normative e le leggi che regolano i servizi pubblici impongono gare d’appalto per l’affidamento del servizio, anche ATM è regolata da un contratto di servizio, pur non avendo mai fatto nessuna gara per acquisire l’appalto.
ATM è di proprietà del Comune di Milano e ha sempre gestito in maniera impeccabile i trasporti milanesi, tuttavia le norme (Riforma Madia e non solo: bisogna adeguarsi anche a un composito quadro legislativo europeo) rendono questo servizio non più disponibile come fosse in house.
ATM è da sempre l’azienda dei milanesi, e io vorrei sinceramente che rimanesse tale: non per un privilegio, ma perché è una grande azienda, capace di vincere gare internazionali come quella di Copenaghen, dove l’azienda ha portato tecnologia, la metrò lilla, quella senza conducente, e capacità organizzative. Il core business di ATM sono le attività di trasporto locale.
Perché mai siamo tutti contenti, anche i sindacati, quando ATM vince la gara per gestire la metropolitana a Copenaghen e quando vuole mettere a gara un’attività marginale a casa propria scatta il finimondo? Mi sarei aspettato la giusta e legittima rivendicazione che sul piano contrattuale ed economico, indipendentemente dal modo in cui la gara dovesse concludersi, nulla sarebbe tolto ai lavoratori, impegnando così il “vincitore”, chiunque sia, ma trovo singolare dire semplicemente al Comune di Milano: “questo non lo devi fare”.
Il sindacalismo è un lavoro nobile, al servizio dei lavoratori e dei cittadini (il più delle volte le due condizioni di vita coincidono) di qui la mia convinzione che affidare a gara un servizio pubblico come previsto dalle normative e dalle prerogative di una istituzione (il comune) non corrisponda a un’imperdonabile bestemmia e che, pertanto, l’esercizio del diritto di sciopero su una questione come questa da un lato crei solo disagi alla cittadinanza (con il salone internazionale del mobile in corso) e dall’altro non corrisponda ad alcuna finalità strategica.
Da ex sindacalista, invece, sarei più preoccupato per le sorti del servizio pubblico milanese e lombardo. Da anni i pendolari e gli utenti chiedono una robusta integrazione dei trasporti pubblici. Purtroppo a causa di politiche di infimo cabotaggio, Regione Lombardia e Comune di Milano non sono riusciti a dare risposte impedendo che si realizzasse quell’integrazione richiesta a gran voce fra Trenord e ATM. Questo sarebbe un terreno su cui più utilmente impegnarsi in una azione di lotta, al servizio sia dei lavoratori che dei cittadini.
Il Comune di Milano (perdonatemi, sono un milanese d’adozione) potrebbe con ATM giocare un ruolo fondamentale nella mobilità; l’azienda locale potrebbe diventare ancor più cosmopolita aggredendo le opportunità che il mercato dell’Unione Europea offre. Perché, con tutto il rispetto, non è su quello domestico dei parcheggi e del bike sharing che si gioca il nostro futuro, anche a livello di occupazione.
Se il mettere a gara è obbligatorio, non c’è niente da dire. Se è una scelta, si può anche sostenere che si tratta di una scelta sbagliata. Se ci sono soggetti disposti a concorrere per acquisire la gestione dei parcheggi e del bike-sharing o di qualunque altra cosa si tratti di affidare ad altri, significa che si tratta di cose che possono essere redditizie. E allora tanto vale che continui a gestirle l’azienda pubblica, attraverso la quale sarà comunque più facile far passare scelte che non tengano conto della sola redditività. Se ci sono cose che possono andare sul mercato, meglio tenersele, se sonogià pubbliche.