-di SANDRO ROAZZI-
L’inflazione non sente la primavera e ripiega come non si aspettava quasi nessuno tranne pochi e fra essi il Presidente della Bce, Draghi, notoriamente restio a farsi trascinare da effimeri entusiasmi. Con questi dati di marzo, 1,4% su marzo 2016 in Italia e 1,5% in Ue, Draghi si vede regalata una nuova tregua che però appare fragile. Le pressioni per ridurre e rallentare il QE probabilmente riprenderanno fiato per poi ripartire in quarta specie se le elezioni francesi non provocheranno sconquassi.
In Italia il dato Istat sul mese precedente è fra l’altro decisamente negativo, -0,9%. Ed ancora una volta a determinare la velocità di corsa dei prezzi è soprattutto il petrolio con un aiutino dei beni di stagione. Frena persino il carrello della spesa ed e’ tutto dire. Di questo passo l’inflazione acquisita si colloca all’1,1% ancora lontana, almeno in Italia da quel 2% auspicato in Europa e indicato come obiettivo dalla Bce.
Rifiatano anche Paesi che sono condizionati più di altri dalla spesa per interessi, ma sarebbe una illusione accantonare il problema visto che il 2017 si conferma in economia anno ondivago e con grandi incognite politiche e sui mercati.
Del resto gli auspici espressi dal rinnovo del Patto a Roma sembrano già lettera morta: il negoziato sulla Brexit, il protezionismo accennato da Trump e la spada di Damocle delle elezioni francesi ha già fatto voltare pagina a tutti.
Draghi ha dunque tempo e ruolo, bisognerà vedere come li userà. Non va dimenticato che si è accumulata nel tempo una montagna di titolo di stato nella Bce pari a quasi 1200 miliardi di dollari. La prospettiva non è chiara soprattutto se messa in relazione ai rischi di default di un qualsiasi Stato dell’area euro. Il “bottino” dei titoli insomma da un lato rende più difficile l’isolamento di uno o più Stati, dall’altro esigerebbe l’indicazione lungimirante di una direzione di marcia che al momento, forse, è materia propria solo dei banchieri centrali europei. Ed una soluzione difficilmente potrà prescindere anche da una politica economica meglio concertata, da scelte fiscali più omogenee e da una politica sul credito più rassicurante per tutti.
Impegni assai gravosi e per i quali ci vorrà una coesione politica che oggi non si scorge nei comportamenti dei Governi. Il rischio è che la resa dei conti avvenga quando una parte della zona euro sarà risucchiato in una sorta di grigia stagnazione. Lo ha paventato da noi la Confcommercio che ha segnalato come, sul versante del credito, in 5 anni sono venuti a mancare 120 miliardi di erogazioni alle imprese. Le più sfavorite, ovviamente, sono le microimprese: solo l’11% di esse hanno ottenuto integralmente il credito richiesto. È solo un esempio, ma indicativo. L’attuale Governo sposa, come potrebbe fare altrimenti?, la politica dei piccoli passi: tenere a bada Bruxelles, qualche intervento pro crescita. Ma se qualcuno alzerà l’asticella potrebbero essere dolori.