Come si dissolse il Patto di Varsavia

-di MAGDA LEKIASHVILI-

Sono passati 26 anni dal momento in cui la Russia ha rinunciato a motivare i suo interventi militari invocando gli interessi degli alleati. Il Patto di Varsavia, concordato fra Unione Sovietica e quelli che venivano definti gli “stati satelliti”, che permetteva di difendersi l’un l’altro in caso di aggressione, il 31 marzo del 1991 dichiara la sua fine e viene ufficialmente sciolto durante un incontro tenutosi a Praga il 1° luglio dello stesso anno.

Come era nato l’accordo?

Il 14 maggio 1955 in contrapposizione all’alleanza Atlantica (Nato) nasce il Patto di Varsavia (così chiamato perché fu firmato nella capitale polacca). Al trattato aderiscono l’Unione Sovietica e sette dei suoi “alleati” europei (Ungheria, Romania, Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria, Albania e Germania dell’Est; una settimana prima era entrata nella Nato). L’atteggiamento degli Stati Uniti verso la Germania dell’Ovest venne percepita come una minaccia diretta. Fu proprio questa una delle principali motivazioni che indussero l’Urss chiamare a raccolta gli altri “satelliti” per offrir loro la comune difesa. L’inclusione della Germania dell’Ovest nel Patto atlantico, secondo i sovietici, aumentava il pericolo di una nuova guerra e minacciava la sicurezza nazionale degli “stati pacifisti come loro”. L’accordo di Varsavia portò alla creazione di un’organizzazione di mutua difesa che ha consentito ai sovietici di assumere al comando delle forze armate degli stati membri dell’alleanza. Per molti anni gli eserciti della Nato e del Patto di Varsavia si contrapposero indirettamente, senza però affrontarsi in un conflitto aperto.

Come la Nato, il Patto di Varsavia si è concentrato sull’obiettivo di creare una difesa coordinata tra i paesi membri al fine di scoraggiare un possibile attacco nemico. Ma c’era anche un aspetto che riguardava la sicurezza interna e che ha finito per favorire soprattutto Mosca. L’alleanza ha, infatti, consentito ai sovietici di esercitare un controllo ancora più stretto sugli alleati impedendo loro di conquistare ampi margini di autonomia.

Le conseguenze si sono viste in alcune drammatiche vicende: la repressione militare delle rivolte in Ungheria nel 1956 (1) e in Cecoslovacchia nel 1968 (2) è stata compiuta nel nome del Patto di Varsavia e non della sola Unione Sovietica. Al Cremlino, peraltro, erano convinti che fosse stata proprio la Nato a ispirare e agevolare le sollevazioni popolari proprio per sabotare il Patto di Varsavia e il progetto di difesa comune.

A partire dal 1980 l’alleanza nata a Varsavia ha cominciato a essere pesantemente condizionata dal rallentamento economico di tutti i paesi dell’Europa orientale cosa che impediva investimenti in campo militare. Inoltre, le difficoltà finanziarie hanno indotto i vari governi ad avviare programmi di riforme che hanno inevitabilmente finito per alimentare l’attesa di cambiamenti politici e ridimensionare le potenzialità del Patto. Quando, infine, nel 1990 la Germania dell’Est è uscita dall’alleanza essendo in procinto di riunificarsi con l’Ovest, uno dopo l’altro, tutti gli altri “stati satelliti” si “sfilarono”. Il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 fu il colpo di grazia. La Nato è rimasta così padrona del campo, nonostante le pulsioni isolazioniste di Donald Trump. La Russia non è più riuscita a costruire intorno a sé una nuova alleanza anche perché la Federazione Russa non ha mai offerto ai suoi partner cooperazione su base paritaria. La volontà di comandare (come emerge dalle scelte di Vladimir Putin) è sempre più grande di quella di lavorare insieme per un obiettivo comune.

1) La rivoluzione ungherese del 1956, nota anche come rivolta ungherese, fu una sollevazione armata di spirito antisovietico, scaturita nell’allora Ungheria socialista, che durò dal 23 ottobre al 10 – 11 novembre 1956. Venne alla fine duramente repressa dall’intervento armato delle truppe sovietiche.

2) La rivolta in Cecoslovacchia, la cosiddetta Primavera di Praga, è stato un periodo storico di liberalizzazione politica avvenuto in Cecoslovacchia durante il periodo in cui era sottoposta al dominio dell’Unione Sovietica, dopo gli eventi della seconda guerra mondiale. È iniziata il 5 gennaio 1968, quando il riformista slovacco Alexander Dubček salì al potere, e continuò fino al 20 agosto dello stesso anno, quando un corpo di spedizione dell’Unione Sovietica e dei suoi alleati del Patto di Varsavia invase il paese.

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