In 15 anni i robot taglieranno un terzo di posti

-di FEDERICO MARCANGELI-

La robotica è da molto tempo un argomento affascinante, ma implica degli interrogativi morali e sociali di assoluto rilievo. Un recente studio di PWC (Price Waterhouse Coopers, società di revisione e certificazione dei bilanci) ha riprodotto un quadro che fa riflettere proprio su questo tema.

L’agenzia ha infatti sfruttato alcune stime correnti per effettuare una proiezione dei livelli di automazione potenziali dei prossimi anni. Il lavoro parte dalla velocità di estensione della robotica negli ultimi anni e quindi appare abbastanza affidabile dal punto di vista numerico.

Fermandosi ai dati proposti il report appare quantomai nefasto per i livelli occupazionali.

Il 38% dei lavoratori statunitensi verrà sostituito da un robot, così come il 35% dei tedeschi ed il 30% degli occupati del Regno Unito. Una delle poche nazioni che pare riuscirà a resistere a questa ondata è il Giappone (con un 20% di sostituzione), che da tempo ha portato avanti questo processo di automazione.

La proiezione calcola che tutto ciò avverrà in soli 15 anni, un tempo relativamente breve considerando i tempi di adattamento del mercato del lavoro (sia per la sua componente legislativa che umana). L’impatto maggiore sarà nei settori con un più basso livello di specializzazione, che però sono quelli che impattano maggiormente sulle fasce medio-basse della popolazione. Nello specifico il report parla di “ospitalità, servizi alimentari, trasporto e stoccaggio”, tutti ambienti altamente “umanizzati”. La previsione combacia con una precedente effettuata da “Hi News Russia” (un portale di analisi tecnologica russo, meno affidabile di PWC) che parlava del 47% dei lavoratori mondiali sostituiti da macchine in circa 20 anni.

Tutti sono concordi nel dire che comunque verranno create “nuove professionalità” necessarie per sviluppare e monitorare questa industria 4.0. Ma è logico che questi nuovi mestieri non riusciranno mai a sopperire alla perdita di posti derivanti dall’automazione. D’altra parte la figura del robot nasce proprio per sostituire l’uomo, rimpiazzandolo con una macchina più rapida ed efficiente di lui. Le previsioni contenute in questo studio vengono confermate da un’analisi sul passato che due ricercatori del National Bureau of Economic Reaserch del Mit di Boston. Daron Acemoglu e Pascual Restrepo attraverso complessi calcoli hanno spiegato i contraccolpi che dal 1990 ad oggi ha avuto l’automazione sui livelli occupazionali e salariali. I ricercatori spiegano che nel settore manifatturiero si perdono sino a sei posti per ogni robot introdotto ogni mille lavoratori. Inoltre nel tempo si è avuta una perdita slariale dello 0,75 per cento. In tutto sono scomparsi dal ’90 ad oggi ben 670 mila posti e queli creati dall’automazione hanno molto parzialmente assorbito questa caduta.

Un’altra problematicità che sorge spontanea (alla quale nessuno risponde) riguarda la bassa specializzazione dei lavori che verranno robotizzati, che quindi renderà molto complessa l’operazione di nuovo collocamento sul mercato del lavoro. Un lavoratore che per anni ha svolto il magazziniere o l’autista (visto che la guida automatizzata pare essere dietro l’angolo) come potrà “rivendersi”? Come si sosterranno queste fasce deboli della popolazione?
Questi interrogativi vanno posti ora, perché nel momento in cui questa rivoluzione arriverà sarà troppo tardi per rimediare. Un pensiero finale non può che riguardare il senso stesso di questa rincorsa all’automatizzazione.

Se realmente milioni di persone non riusciranno più a collocarsi sul mercato e non avranno la possibilità di sostenersi, per chi produrranno i robot? E’ una domanda paradossale ma che, viste le prospettive, occorre porsi.

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