-di SANDRO ROAZZI-
Ecco la lista delle aziende con la migliore reputazione, ecco che il made in Italy da… gusto in tavola fa da portabandiera con la Ferrero al 17mo posto su 100 e la Barilla. Altre due aziende italiane si fanno largo: Armani e Pirelli. Armani in realtà potrebbe far parte anche di quella propensione al consumo di lusso che ha innalzato al primo posto assoluto della graduatoria… Rolex. Tanto per capire, Google, gigante incontrastato del mondo della rete è solo… quinto. Sony ed Intel sono al settimo ed ottavo posto. Svettano invece Lego e Disney, paladini, sia pure in una potente logica industriale di mercato, di una fantasia che oggi nella omologazione tecnologica e culturale in atto fa fatica a farsi strada.
Fa capolino anche Fca al 98mo posto, anche se l’industria dell’auto non pare brillare in questa classifica pur essendo fra le più dinamiche, forse anche a causa delle ben note inchieste in corso come quella sul diesel. Ma resta un settore in forte evoluzione e che sta imboccando con risorse e tecnologie la via della innovazione (dalla robotica alla sperimentazione dell’auto elettrica). E le vendite che proseguono a ritmo sostenuto ne testimoniano la presa sui mercati.
Da noi è la Pirelli a tenere il passo dei grandi gruppi industriali con un piede nel presente e l’altro nel futuro. Certo sono lontani i tempi nei quali, alla fine degli anni ’60, Pirelli era sinonimo anche di un’imprenditoria che cercava di proporsi con maggiori aperture nell’economia ed in una società in grande cambiamento (come nel caso del manifesto dei giovani imprenditori), tentando di raccogliere l’eredità di capitani d’industria come Olivetti o di alcuni “illuminati” manager pubblici. Resta il fatto però che il gruppo è riuscito a ritrovare un posto fra i “grandi” puntando sull’innovazione.
Ed è proprio l’innovazione il filo rosso che tiene collegati passato e presente-futuro. Ed è per questo che si dovrebbero recuperare dizioni come quella di politica industriale. Si pensi solo all’edilizia, ex-volano della crescita economica. In essa c’è una percentuale di innovazione sempre più elevata che potrebbe trascinare con sé buona parte dell’industria italiana verso percorsi di crescita e di rilancio, viste le interconnessioni con tante altre produzioni, dai materiali alla chimica. Per non parlare del rapporto con l’innovazione energetica ed ambientale. Questa è la prospettiva che può spingere il Paese verso una ripresa meno modesta e aleatoria. Cercasi… però classe dirigente all’altezza di queste sfide. E che ci creda. Possibilmente senza sposare mode del momento, fermandosi ai titoli.