La svolta a sinistra di Schulz, la svolta nel nulla del Pd

154605502-24bf9fd9-c712-4dfb-bb6e-2505e5c89cd6

-di ANTONIO MAGLIE-

Il candidato socialdemocratico alla cancelleria, Martin Schulz è intenzionato a smontare la politica economica avviata da Gerhard Schroeder, che ha finito per consolidare il potere della Csu e fatto perdere voti alla Spd. In sostanza, intende riproporre, aggiornandoli, gli antichi contenuti della sinistra riformista. Antichi ma validissimi in un’Europa e in una Germania avvilite dalla crisi (che ha determinato l’impoverimento dei ceti medi, lo scivolamento di aree sociali sempre più vaste verso livelli di indigenza, la proliferazione dei “lavoratori poveri”, l’inaridimento delle prospettive professionali per i più giovani).

Nel mirino del candidato il “salario minimo” che non si è rivelato una garanzia ma uno strumento per comprimere i redditi dei lavoratori dipendenti, la durata dell’assegno di disoccupazione (che vuole allungare oltre i quindici mesi), i contratti a tempo aumentati a dismisura rendendo sempre più incerta la vita dei giovani, la compartecipazione (che intende estendere anche alle aziende multinazionali che operano in Germania rispondendo, però, a legislazioni di altri paesi).

La riscoperta di “idee vecchie” utilizzabili anche per contrastare i malanni prodotti dalla modernità, ha consentito al candidato socialdemocratico di superare nel gradimento popolare (almeno stando ai sondaggi) la Merkel e alla Spd di salire al 30-31 per cento dei consensi (alla fine dello scorso anno nelle stime non andava oltre il ventidue).

Per i socialdemocratici si tratta di un cambio di rotta clamoroso che il candidato cancelliere non si preoccupa nemmeno di dissimulare, anzi: “Anche noi abbiamo fatto degli errori l’importante è riconoscerli e correggerli”, ha affermato nel corso di un comizio a Bielefeld. E in un paese in cui un contratto su due è a tempo, ha promesso: “Noi aboliremo dalle relazioni di lavoro i contratti a tempo determinato immotivati”. Bisogna onestamente ammettere che mettendo a confronto il dibattito che caratterizza la principale forza della sinistra italiana con i contenuti introdotti da Schulz nell’agenda tedesca, si finisce per essere colti dalla depressione: di là la consapevolezza non solo che le ricette imposte dal dominio ideologico del liberismo e della globalizzazione non reggono più, ma anche la pubblica presa d’atto (condita con una chiara autocritica) che la missione dei partiti progressisti è quella di imporre un mutamento di rotta; di qui una battaglia di potere senza nemmeno una riflessione seria sui guasti prodotti da una gestione di Palazzo Chigi tutta schiacciata su una impostazione “ideologica” lontanissima dal patrimonio ideale della sinistra, che ha ridotto elettoralmente ai minimi termini i riformisti in Spagna, in Grecia, in Francia e, anche, in Germania (almeno sino ai sondaggi di qualche mese fa); di là l’urgenza di proporre all’elettorato una nuova prospettiva di società e di vita.

Da Sanders ad Hamon tutti sembrano aver preso coscienza degli errori compiuti; in Italia, invece, abbiamo un ministro, Giuliano Poletti, che è estremamente grato agli imprenditori per il fatto di creare lavoro (senza interrogarsi troppo sulla “qualità”, non solo materiale ma anche etica), mostrando con le sue scelte (il Jobs act, i voucher, l’apprendistato usato in maniera impropria) una straordinaria ingratitudine per chi si spezza la schiena lavorando.

antoniomaglie

Rispondi