-di GIULIANA SALVI-
Il giorno di San Valentino del 2004 muore in un anonimo residence di Rimini Marco Pantani. A stroncarlo un edema polmonare e cerebrale conseguente ad un’ overdose di cocaina, proprio come fu per l’amato Charlie Parker, il dio del jazz, anche Pantani muore solo ad appena 34 anni.
E’ la fine di un mito. Con 46 vittorie in carriera ed i migliori risultati nelle corse a tappe, il Pirata è l’ultimo italiano ad aver vinto un Giro d’Italia ed un Tour de France nello stesso anno.
Marco Pantani è uno scalatore e la montagna è il suo specchio. Le sue strade, impervie e silenziose, costellate da improvvise discese e faticose risalite sono la metafora perfetta della vita del ciclista romagnolo. E’ il Carpegna la montagna simbolo del Pirata, quella che gli aveva insegnato tutto. E’ la sua fitta e a tratti buia boscaglia finale, quella in cui non ti puoi fermare, dove sei solo con i tuoi demoni fino alla vetta, ad insegnare a Marco a combattere e resistere.
Ma la montagna non perdona e non ammette scorciatoie. Il 5 giugno del 1999 a Madonna di Campiglio qualcosa si spezza. Pantani viene fermato prima della partenza del tappone del Mortirolo perché l’ematocrito è troppo alto. Il Pirata è sospeso da un Giro che sta vincendo, tappa dopo tappa, senza rivali. Quel giorno comincia il crollo, in un vortice di droga e depressione.
E’ un imbroglione o è stato imbrogliato? Lo hanno ammazzato o si è suicidato? Quel che è certo è che la vicenda di Marco Pantani non lascia mai indifferenti.
Le Procure di Rimini e Forlì hanno riaperto, tre anni fa, due diversi filoni di indagini inerenti alla morte e all’esclusione del corridore dal Giro.
Sono i tasselli di un puzzle tanto complesso quanto manomesso che stanno lentamente tornando al loro posto. Il gip di Rimini ha archiviato senza indugi l’inchiesta bis. Nessun omicidio, Marco Pantani è morto solo e per sua mano in quel fatiscente appartamento nel residence Le Rose.
Diversi i sentimenti che hanno animato l’indagine aperta dalla Procura di Forlì guidata da Sergio Sottani. In questo caso i collegamenti tra l’esclusione di Pantani dal Giro del ’99 e la camorra emergono, eppure Sottani ed il suo vice Luca Spirito devono chiedere l’archiviazione perché gli elementi acquisiti non bastano ad identificare gli autori materiali. Manca il motore di ogni procedimento giudiziario, la regina indiscussa dei processi: la prova.
Ma è attraverso le carte raccolte dalla Procura di Forlì, tramite le dichiarazioni e le intercettazioni, che il viaggio nel mondo del ciclismo si fa inquietante. Le testimonianze parlano chiaro: è la camorra che gestisce il giro miliardario delle scommesse che gravitano attorno alle gare e la camorra non può permettere che il banco salti.
Renato Vallanzasca è il primo ad aprire uno spiraglio sulla vicenda quando nel 2007 scrive a Tonina, la madre di Marco, rivelandole gli interessi dei clan sul Giro d’Italia del ’99.
Anche le intercettazioni effettuate dai carabinieri di Napoli nel corso di un’altra indagine sembrano toccare una pista importante: Angelo Tolomelli, ex detenuto camorrista, in una telefonata alla figlia Anna risponde in modo positivo alle domande della ragazza sull’ implicazione della camorra nell’esclusione di Pantani. Ed è il collaboratore di giustizia Augusto La Torre, ex capo dell’omonimo clan, a raccontare agli inquirenti di essere a conoscenza dell’intento dei clan di Napoli di fermare il Pirata. Bidognetti, Moccia, Vollero e Mallardo avrebbero fatto in modo di corrompere chi doveva occuparsi dei controlli al prelievo. Nomi importanti, che hanno fatto e fanno tremare più di un testimone.
Vittorio Savini, presidente all’epoca del “Club Magico Pantani”, ha riferito più volte delle minacce ricevute da Pantani durante le ultime tappe del Giro, così come Roberto Pregnolato, il suo storico massaggiatore, ha sempre dichiarato che era presente quando la sera prima delle analisi Pantani si misura l’emocromo con risultati perfettamente nella norma.
Recentemente il comitato ‘Mafia e manifestazioni sportive’, organo della commissione Antimafia coordinato dall’on. Marco Di Lello e dall’on. Angelo Attaguile, ha dichiarato che si occuperà di “un approfondimento” sulla morte di Pantani. Un caso avvolto, nonostante le sentenze, da misteri che forse non si scioglieranno mai del tutto e che contribuiscono certamente ad alimentare la leggenda del campione romagnolo.
Guardando i vecchi filmati delle corse un aspetto che colpisce sempre è quello del legame tra Marco e i compagni di squadra. I suoi gregari non lo hanno mai abbandonato perché rispettavano profondamente quello scalatore che veniva dal mare e così in molti dopo la sua morte hanno preferito smettere. Marco Pastonesi ci ha scritto un libro nel 2014, Pantani era un dio, in cui sono presenti aneddoti e ricordi di Marcello Siboni che ha vissuto otto anni ruota a ruota con Pantani, Ermanno Brignoli che gli è stato vicino nel periodo più brutto, di Marco Fincato e molti altri, una testimonianza di chi ha scelto di vivere all’ombra di un campione.