In una lettera agli iscritti del Pd, l’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, afferma che per proseguire sulla strada del rinnovamento l’Italia ha “bisogno di due cose: un grande coinvolgimento popolare e una leadership legittimata da un passaggio popolare”. In sostanza di elezioni anticipate perché nella narrazione politica di Renzi, che è in molti punti identica a quella di Silvio Berlusconi (condivisa, peraltro un po’ da tutti, da Grillo a Salvini alla Meloni), il capo del governo in Italia viene scelto direttamente dal popolo. Non è così, evidentemente. Ma si sa Renzi (e non solo lui) si uniforma a una Costituzione tutta sua che ha poco a che spartire anche con quella che è stata sonoramente bocciata nel referendum (anche lì valeva ancora quanto stabilito nel 1946). Ma la cosa più grave è che il segretario del Pd appare affetto da una preoccupante forma di amnesia perché se il rinnovamento dipende dal “coinvolgimento” e dalla “legittimazione popolare”, come mai lui, da semplice sindaco di Firenze, è approdato a Palazzo Chigi per “chiamata diretta e individuale”, proprio con l’intento di cambiare il Paese (una riforma al mese, diceva) in quei suoi 1015 giorni? Valgono, dunque, anche i “sondaggi parziali, i trionfi nelle consultazioni amministrative? Perché se è così, allora Michele Emiliano, presidente della regione Puglia, ed Enrico Rossi, presidente della regione Toscana, hanno già tutte le carte in regola per andare a Palazzo Chigi. L’impressione è che l’Italia abbia soprattutto bisogno di un coerente programma di governo capace di ricomporre un quadra sociale sfilacciato e il Pd di una identità più che imbevuta di superficiale nuovismo, di una riscoperta attualizzata delle “radici”, un po’ quello che Martin Schulz sta provando a fare in Germania. E secondo i sondaggi con un certo successo.