Berdini, la Raggi e la purezza perduta del M5s

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-di ANTONIO MAGLIE-

Volevano stritolare i poteri forti di Roma; ora dagli interessi di quei poteri forti rischiano di essere letteralmente strozzati. È la parabola del Movimento 5 stelle nella Capitale dove la vicenda di Paolo Berdini ha fatto venire a galla il vero grande problema di questa amministrazione, così concentrata nella ricerca della soluzione da non avere il tempo di affrontare le questioni che stanno veramente a cuore della cittadinanza.

La questione è nota: il nuovo stadio della Roma. Questione che porta evidentemente male: negli anni Ottanta la sollevò l’indimenticato presidente giallorosso, Dino Viola. Alle spalle aveva amici potenti (Giulio Andreotti). E anche terreni disponibili: alla Magliana (e meno male che non se ne è fatto nulla perché ora la zona è inondata dal cemento). Su quell’impianto sportivo si gioca una partita che chiama in causa interessi bancari (Unicredit) e imprenditoriali (il palazzinaro, pardon, l’immobiliarista Parnasi da tempo in difficoltà). Un nodo di interessi che il Movimento 5 stelle dichiarava di voler tagliare.

Di qui il chiaro scontro in corso all’interno del M5s e che ha portato anche alcuni esponenti del partito di Grillo a firmare la “petizione” favorevole al salvataggio di Berdini nonostante le parole inappropriate pronunciate pubblicamente nei confronti della sindaca e della sua giunta. Perché da un lato ci sono i fedeli alla linea della prima ora, quella che non prevedeva cedimenti al cemento e ai palazzinari (incarnata proprio dalla figura del poco accorto ma allo stesso tempo coerente assessore); dall’altro Luigi Di Maio santo protettore della Raggi che, al contrario, appare disponibile a cedere (semmai non in toto ma in buona parte).

Dello stadio della Roma si parla da molto tempo. E da molto tempo si sollevano dubbi sulla scelta del luogo in cui ospitarlo: trasporti pubblici ridotti al minimo, viabilità insufficiente soprattutto nei mesi tardo-primaverili ed estivi, problematiche idro-geologiche non di secondaria rilevanza. A molti era apparsa inopportuna all’epoca la scelta di Ignazio Marino anche, perché, volendo, altre aree si potevano trovare, semmai meno congestionate. Ma qui entrano in ballo gli interessi. Luca Parnasi è il proprietario di quei terreni, ormai l’unico asset a sua totale disposizione in grado di garantire una certa redditività. Perché il gruppo dell’immobiliarista nel 2015 ha fatto, come si dice a Roma, il “botto”.

A “salvarlo” ha provveduto Unicredit (che anni prima aveva confezionato anche il salvataggio della As Roma tramite il passaggio della società dalla famiglia Sensi all’americano Pallotta) attraverso il veicolo finanziario Capital Dev che ha rilevato tanto le attività di Parsitalia quanto i debiti (circa seicento milioni). Ora Capital Dev deve riuscire a valorizzare le sei società del gruppo e con gli utili ripianare il debito con Unicredit (450 milioni, uno dei più voluminosi incagli nella pancia dell’istituto di credito).

Insomma laddove un tempo sorgeva l’ippodromo del trotto reso famoso dal film “febbre da cavallo” si gioca una partita finanziaria complessa che, oggettivamente, riguarda poco i romani. In campo ci sono advisor di gran nome come Goldman Sachs e Rothschild (che ha partecipato anche ai business imbastiti intorno allo stadio della Juventus e a quello dell’Arsenal, l’Emirates). In ballo tanti soldi: 1 miliardo per la costruzione del Business Park (ai quali si aggiungono 300 milioni di infrastrutture) e 1,6 miliardi per lo stadio e l’area retail (con l’aggiunta di 440 per le opere pubbliche).

La vicenda Raggi-Berdini analizzata attraverso questa ottica assume un altro aspetto. E se è vero che l’assessore nell’intervista al “La Stampa” si è lasciato andare con troppa leggerezza, è anche vero che alla luce di tutto questo più che carnefice appare vittima. Insieme alla conclamata “purezza” del Movimento 5 stelle sacrificata sull’altare più indigesto ai militanti.

antoniomaglie

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