-di GIULIA CLARIZIA-
Esplorare, imparare, crescere. Questo è l’Erasmus, il volto dell’Europa che funziona a una sola velocità, fuori dalla demagogia e dalla retorica. Persino al riparo da quei populismi che a parere di Pierre Moscovici, commissario europeo agli affari economici e monetari, creano un clima di incertezza che frena la crescita, soprattutto in Italia.
Ogni anno, migliaia di studenti preparano le valigie e partono alla volta della loro università ospitante. Quest’anno, il progetto compie trent’anni e ha tutta l’aria di essere in piena espansione. Tra il 2013 e il 2014, l’UE ha raddoppiato i fondi destinati all’Erasmus, che è diventato Erasmus+, si è articolato in varie sfaccettature e progetti al suo interno, arrivando ad un budget di 580 milioni di euro. Nel 2016, i fondi destinati all’Italia sono aumentati del 12%.
Il progetto ha radici italiane. “Mamma Erasmus”, così è stata soprannominata Sofia Corradi, consulente scientifico della Conferenza permanente dei rettori delle università italiane nel 1969, quando propose per la prima volta l’idea. Questa iniziò a circolare in ambito accademico finché il Forum degli studenti europei (nome italiano per l’AEGEE, Association des Etats Généraux des Étudiants de l’Europe), propose con successo l’iniziativa alla Commissione europea, che la approvò nel 1987. In occasione del trentesimo anniversario, un ricco calendario di eventi è stato organizzato in tutta Europa, ed è stato inaugurato lo scorso 26 gennaio a Bruxelles.
Il nome ha un doppio significato. È infatti sia l’acronimo per European Region Action Scheme for the Mobility of University Students, sia si rifà all’umanista Erasmo da Rotterdam, che durante la sua vita scelse di viaggiare in tutta Europa per conoscerne le differenti culture. E il riferimento non poteva essere più calzante.
Se l’Unione Europea segna tra i suoi più grandi difetti quello di essere percepita lontana dai cittadini (contribuendo così proprio alla crescita di quel populismo che preoccupa Moscovici), un groviglio burocratico associato a soglie e standard economici e normativi da rispettare, il progetto Erasmus è tutto il contrario, è l’Europa di chi la vive.
Non è facile riassumere tutti i benefici che un’esperienza del genere può apportare non solo alla persona ma anche alla comunità. Non si tratta solo di imparare le lingue e sperimentare un sistema di istruzione diverso da quello del paese di provenienza, che comunque già di per sé costituiscono un grande vantaggio. L’Erasmus insegna ad autogestirsi, a conoscere i propri limiti e superarli. Se vissuto in maniera intelligente, ovvero senza chiudersi in little italies o analoghe comunità nazionali, nascono amicizie che insegnano tanto, creando un network di conoscenze che collega tutta Europa e non solo. Spingersi oltre la propria confort zone non è facile, ma l’Erasmus aiuta a farlo, e anche i momenti di difficoltà, solitudine e nostalgia sono formativi. Se fosse facile, non avrebbe lo stesso valore.
In questo contesto, l’Europa è davvero unita ed è un polo di attrazione culturale anche per i paesi extra-europei che partecipano a progetti di scambio analogo. Un’Europa che fa progredire i suoi giovani tutti alla stessa velocità, senza stilare classifiche.
Quest’anno non si celebrano solo i trent’anni di Erasmus. Il 2017 è anche l’anno del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma del 25 marzo 1957. In vista di questa ricorrenza, è opportuno pensare a cosa ha funzionato in questo lungo percorso di integrazione. Cosa ha veramente unito le persone e cosa invece ha portato malumori e incomprensioni? Dai successi bisogna imparare e prendere esempio. E allora, che il futuro sia ispirato a questo traguardo, a questi 30 anni di esperienze che hanno dato il nome a una generazione, la generazione Erasmus, che forse un domani inebriata dallo spirito comunitario riuscirà a portare l’Europa e i suoi valori davvero vicino agli europei.