-di ANTONIO MAGLIE-
I trumpisti italiani (Matteo Salvini in testa che nel frattempo è stato “arruolato nella simpatica compagnia del sito americano di destra molto estrema, Breitbart) gonfiano il petto narrando al mondo (quello piccolo, provinciale delle isole padane, convertite dal secessionismo all’identità nazionale) che loro importeranno linea e metodi di governo del loro “maestro” dai capelli color pannocchia. Peccato che nel frattempo, il maestro in questione cominci a fare i conti con il governo, con i potenti sostenitori (in fondo il suo è l’esecutivo più ricco, nel senso che raccoglie il più alto numero di persone agiatissime, che gli Stati Uniti abbiano mai schierato nella loro storia), con i condizionamenti della democrazia, con la realpolitik. Tutte cose da cui è decisamente complicato sfuggire. Possono darla a intendere in Italia Salvini e, semmai, Grillo, Di Maio e Di Battista, o in Francia Marine Le Pen, ma le cose (il governo, per intenderci) sono decisamente più complesse di quanto appaiano nella loro semplicistica ed elettoralistica narrazione (ne sa qualcosa anche Virginia Raggi o no?). Insomma, non si schiaccia un bottone e tutto quello che nella storia del mondo o solo di un paese si è sedimentato in secoli, anni o nei mesi appena trascorsi, viene cancellato. Questo è un gioco da film o un divertimento da web. Non è il mondo concreto.
E Donald Trump dopo la firma a beneficio delle telecamere di decreti che servivano solo per galvanizzare l’elettorato che lo aveva semi-trionfalmente accompagnato alla Casa Bianca, ora comincia a frenare. Insomma, siamo in qualche maniera al “Trump dimezzato”, come il visconte di Calvino. Il primo dimezzamento glielo ha imposto la dinamica della democrazia, quella che si basa sulla divisione dei poteri, con i giudici che hanno sospeso il famoso bando contro i musulmani (la Corte d’appello ha provveduto all’ultima conferma mentre persino il membro dell’Alta Corte nominato da lui, Neil Gorsuch, ha fatto sapere di essere rimasto piuttosto imbarazzato di fronte ad alcune espressioni usate dal presidente contro i giudici). Il secondo è stato determinato dalle condizioni politiche generali le quali non concedono vie di scampo.
Perché, poi, la Cina è veramente più vicina di quanto si possa pensare, soprattutto agli Stati Uniti di cui detiene una bella fetta di debito pubblico. C’è stata tensione subito dopo l’ascesa al soglio di Washington del tycoon; c’è stata la famosa telefonata con la leader di Taiwan Tsai Ing-wen con la quale il presidente aveva messo in discussione quella che è la stella polare della politica americana nei confronti della Cina (una sola, quella di Pechino). Ma poi è arrivata un’altra telefonata, quella con il collega Xi Jinping che nelle settimane scorse aveva elegantemente celato un notevole nervosismo di cui si è notata qualche traccia più che altro nei cieli della zona con aerei delle due parti che si sono sfiorati in volo. Risultato: “C’è una sola Cina” con tanti saluti alla signora Tsai Ing-wen che dovrà farsene una ragione perché Formosa resta tanto per la comunità internazionale quanto per Pechino solo una propaggine territoriale dell’unico soggetto politico riconosciuto.
L’impressione è che il dimezzamento continuerà nel tempo. Il muro con il Messico? Chissà. Nel frattempo i messicani hanno cominciato a boicottare i prodotti “made in Usa” e questo un certo nervosismo lo ha provocato in quegli imprenditori che pure hanno seguito la scia di Trump più o meno come i Re Magi seguirono la stella cometa. L’unica cosa certa, al momento, è la cancellazione della norma che limitava le operazioni speculative, provvedimento voluto da Obama per evitare una nuova crisi dei mutui subprime (la stiamo ancora pagando). Ma siamo esattamente nel campo in cui i trumpisti di casa nostra dicono di non voler giocare cioè quello della speculazione che affama il popolo sovrano, quello delle banche voraci e spregiudicate, quello dei riders alla Gordon Gekko. Il fatto è che le campagne elettorali finiscono esattamente quando comincia l’attività di governo e gli elettori dovrebbero sempre fare preventivamente la tara tra quel che si dice per convenienza da un palco e quel che quelle stesse persone potranno fare nelle condizioni, nelle strettoie e nelle capacità personali date, evitando di lasciarsi abbindolare dai pifferai magici.