-di MAGDA LEKIASHVILI-
“Nella nebbia del primo mattino avevamo attraversato in macchina Berlino Ovest, deserta, diretti al Glienicker Brücke, il luogo del nostro appuntamento. Eravamo arrivati alla fine del nastro d’acciaio grigio scuro che porta nella Germania orientale occupata dai sovietici. Dall’altra parte del lago c’era Potsdam; sulla cime di una collinetta, alla nostra destra, si stagliava il profilo di un antico castello. L’una e l’altra riva del lago erano folte di foreste. Faceva freddo, la mattina del 10 febbraio 1962, ma il cielo era terso”.
James B. Donovan
La verità sul caso Rudolf Abel
L’avvocato James Donovan il 10 febbraio del `62 si trovava sul ponte delle spie, Glienicker Brücke, per una missione importante. Al suo fianco c’era Rudolf Abel, colonnello del servizi segreti sovietico, il KGB. Negli Stati Uniti non avevano dubbi che lui fosse “l’agente residente” che per nove anni aveva avviato la rete dello spionaggio sovietico in America, dal suo studio di pittore a Brooklyn. Fu catturato nel 1957, tradito da un suo subordinato. L’FBI l`aveva accusato e riconosciuto colpevole di “cospirazione per commettere spionaggio militare e atomico”, un crimine sanzionabile con la morte.
Il caso venne affidato a un avvocato, James B. Donovan, che doveva difendere il “pittore”. Fu proprio lui a chiedere al giudice di non proporre la pena di morte, anche per il seguente motivo: non potevano escludere che in futuro venisse catturato nella Russia sovietica un cittadino americano pari all’imputato. In questo caso, sarebbe stato utile anche per gli interessi nazionali degli Stati Uniti uno scambio di prigionieri attraverso i canali diplomatici.
La previsione si avvererà dopo un paio d’anni. Venne catturato dai sovietici il pilota dell`U2 Francis Gary Powers. Quel mattino del 10 febbraio Powers doveva essere scambiato con Abel. Ma non c’era solo lui. In un lontano quartiere di Berlino, al passaggio di “Checkpoint Charlie”, i tedeschi orientali si preparavano a rilasciare un altro prigioniero americano, studente di Yale, Frederic Pryor, arrestato nell’agosto 1961 con l’accusa di spionaggio. Con lo scambio dei prigionieri la lunga missione dell’avvocato sarebbe finita. Come descrive nel suo libro James Donovan – La verità sul caso Rudolf Abel – la missione non era stata soltanto la conclusione di un processo ma una vera e propria missione diplomatica. La storia è stata recentemente raccontata in un film di Steven Spielberg del 2015, intitolato “Il ponte delle spie”, in cui Tom Hanks interpreta l’avvocato Donovan.
La fine della guerra fredda ha mutato il mondo. Non che lo spionaggio non esista più perchéI servizi segreti continuano a fare ancora il proprio lavoro sia negli Stati Uniti che in Russia. Ma sono cambiati i modi. La lotta fra gli stati si è spostata nel mondo del web (e pensare che la ricerca che ha portato a internet era stata avviata dal Pentagono proprio per trovare un sistema di comunicazioni che aggirasse l’eventuale sabotaggio dei sistemi tradizionali). E le accuse riguardano proprio lo spazio virtuale. Le ultime accuse lanciate dagli Stati Uniti contro la Russia parlano di hacking delle e-mail prima nelle presidenziali americane, con l’intenzione di interferire nel processo elettorale (con l’obiettivo di favorire Trump). E un hacker colto sul fatto come lo si può punire? La pena di morte è un metodo obsoleto e, soprattutto, poco produttivo dal punto di vista economico. Anche la risposta si è spostata in un mondo sotterraneo che dai ponti della Germania orientale si è trasferito nello spazio virtuale teoricamente infinito Ora ci si affida alle sanzioni economiche che puniscono e indeboliscono “l’accusato”. E per quanto i versanti più politici, si tende a colpire (o semplicemente “ad avvisare” il colpevole con l’espulsione dei diplomatici).