-di FEDERICO MARCANGELI-
Alla sentenza di parziale incostituzionalità dell’Italicum mancava ancora un tassello fondamentale: le motivazioni. Nella serata del 9 Febbraio sono finalmente arrivate le ragioni che spinsero la Corte Costituzionale a ridisegnare la legge elettorale promossa dall’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Ricordiamo che la consulta bocciò il ballottaggio ed il sistema dei capilista. La decadenza del primo ha fatto venir meno il cuore stesso della norma, che al momento dipinge un sistema pressoché proporzionale (gli unici correttivi sono lo sbarramento al 3% e il premio al 40%).
Secondo la consulta il sistema a doppio turno non è però un problema. L’incostituzionalità risiede nell’eccessiva compressione del carattere rappresentativo della camera. Il meccanismo previsto dall’Italicum non imponeva una soglia minima per partecipare al ballottaggio e questo avrebbe permesso l’accesso (in teoria) anche a liste con un numero esiguo di voti al primo turno. Potenzialmente una singola lista avrebbe potuto anche più che raddoppiare i seggi alla seconda “manche”.
Il rischio è quello di una eccessiva divaricazione tra la composizione della Camera e la reale volontà popolare espressa con il voto, in netto contrasto con l’articolo 1 della Costituzione.
Questa motivazione richiama quella già enunciata dalla Corte sul Porcellum. Nella sentenza 1/2014 l’incostituzionalità fu dichiarata proprio per difendere la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare. La Consulta ha comunque lasciato ampio margine al Legislatore per l’eventuale reinserimento del ballottaggio, con i correttivi ritenuti più opportuni. In questo senso non spetta alla Suprema Corte manipolare il meccanismo e proprio per tale motivo è arrivata la bocciatura (e non la modifica).
Il sistema dei capilista è un altro punto su cui i giudici hanno riscontrato dei profili di incostituzionalità. La norma prevedeva la possibilità delle pluricandidature, con la scelta della propria circoscrizione successiva al voto. Questo stratagemma avrebbe permesso a tali soggetti di controllare anche l’eventuale elezione di altri deputati (scegliendo un collegio si eliminava l’ultimo eletto da quella lista). In altre parole, sarebbe stato conferito un improprio potere di designazione del rappresentante di un dato collegio elettorale, secondo una logica idonea a condizionare l’effetto utile dei voti di preferenza espressi dagli elettori. La corte ha stabilito che la molteplicità di candidature resta valida, ma la selezione della circoscrizione avviene attraverso sorteggio.
Vengono invece confermati il premio di maggioranza e lo sbarramento al 3%, poiché non determinano una sproporzionata distorsione della rappresentatività dell’organo elettivo. Al 40% dei voti corrisponderà quindi il 55% dei seggi e l’ingresso alla camera avverrà per le liste che superano la soglia del 3 per cento.
Nonostante l’applicabilità immediata della legge, appaiono chiare le eccessive differenze che intercorrono tra le norme di Camera e Senato. Questo mette a serio rischio la governabilità del Paese, che difficilmente potrà vedere un vincitore unico in entrambe le camere.
La Consulta ha proprio sottolineato tale punto, sollecitando il legislatore a risolvere la questione: “In tale contesto, la Costituzione, se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non ostacolino, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee”. Una sentenza che suona come un richiamo alla classe politica italiana, incapace fino ad oggi di produrre una legge elettorale valida.