In Francia alcuni poliziotti fermano, picchiano e sodomizzano (facendo uso di un manganello) un ragazzo di colore fermato nel corso di una retata anti-droga. Le immagini filmate dalle telecamere sembrano lasciare adito a pochi dubbi. Marine Le Pen, candidata all’Eliseo, annusa la possibilità di andare a catturare qualche voto tra l’elettorato più oscurantista e xenofobo e si schiera dalla parte dei poliziotti contro le proteste che hanno fatto seguito all’aggressione del giovane (anni fa una vicenda quasi analoga portò alla morte di un ragazzino e alla rivolta delle banlieue). Nemmeno un accenno alla violazione dei diritti (l’habeas corpus, principio intoccabile in democrazia) dell’uomo vittima di violenza (comunque ingiustificata).
Negli Stati Uniti, come tutti sappiamo, i viaggiatori in possesso di un passaporto di sette Stati islamici sono stati il bersaglio di Donald Trump che ha emanato un decreto che vieta loro l’accesso nella “terra dei liberi” per i prossimi mesi con la debole giustificazione dell’ordine pubblico e della lotta al terrorismo, violando da un lato il principio della libertà religiosa, dall’altro quello della libertà di movimento e dall’altro ancora quello che prevede un giusto processo prima di una condanna (lui ha deciso che per essere condannati basta una lingua e un passaporto).
In Italia, il professore di deontologia fuori corso, Luigi Di Maio, candidato premier del Movimento 5 stelle, ha provveduto a elaborare un elenco di “untori” a mezzo stampa che diffamano il suo partito dimenticando, a sua volta, che il casus belli da cui prende le mosse, cioè le vicende romane e della sindaca Raggi, sono, comunque, sotto la lente d’ingrandimento della magistratura e che in democrazia vi sono le leggi per riparare ai torti subiti, pertanto più che alla manzoniana colonna infame si può tranquillamente andare a Piazzale Clodio (sede della procura di Roma) e presentare denuncia sulla base di riconosciuti e riconoscibili dettati legislativi (penali). Lui, invece, ha preferito rispondere alla (presunta) diffamazione con la (sicura) intimidazione (roba non da vecchia politica ma da preistorici democristiani e da antichissimi potenti non solo italici). In sostanza, si è accodato a Trump e Marine le Pen nella violazione di un altro sacro principio democratico: la libertà di stampa (la quale stampa non è infallibile come tutte le cose che si muovono a questo mondo, compresi i leader, i sindaci e i parlamentari pentastellati).
Tutto questo per segnalare che nel mondo (Italia compresa) spira una brutta aria fatta di teorie e pratiche che mettono in pericolo una serie di libertà fondamentali, un’aria che può farci scivolare verso esperienze poco edificanti e, soprattutto, sconsigliabili. Un tempo si sarebbe detto: aumentiamo la vigilanza democratica. Comincia a valere anche per il tempo attuale.
Non giustifico sicuramente Di Maio, il giornalismo italiano merita comunque un richiamo all’etica professionale