E sessant’anni fa “dopo Carosello tutti a nanna”

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-di GIULIA CLARIZIA-

C’era una volta un mondo in cui la pubblicità era un bello spettacolo da guardare, un programma televisivo vero e proprio, e non una seccatura inserita ad arte prima della scena madre di un film.

Era il Carosello, e oggi, avrebbe compiuto sessant’anni.

In un mondo in cui la pubblicità è pervasiva, è strano pensare che nei primi anni della televisione italiana, questa era vietata durante lo spettacolo serale. Per questo la RAI, che nel 1957 decise di introdurre gli spot pubblicitari, creò un format apposito.

Dieci minuti, cinque sketch rigidamente codificati. La prima parte, ovvero il “pezzo” durava 1 minuto e 45 secondi ed era un breve spettacolo che non doveva avere niente a che fare con il prodotto che presentava. Seguiva il “codino”, 30 secondi nettamente separati dalla parte precedente in cui aveva luogo la pubblicità vera e propria.

Il 2 febbraio del 1957 per la prima volta, alle 20.50 risuonò la musichetta della sigla che ancora oggi è impressa nella mente di molti italiani e si aprirono i sipari. Quel giorno nacque un rito, il rito della modernità. Tutta la famiglia era davanti alla TV, pronta a vedere gli spettacoli del giorno. “A letto dopo Carosello” , si diceva. Scandiva la sera e univa adulti e bambini.

La società della fine degli anni ’50 veniva dalle ceneri della guerra. Cominciava a risollevarsi, e il “Miracolo economico” bussava alla porta promettendo uno sviluppo mai conosciuto prima e che mai, in quelle dimensioni, avremmo conosciuto dopo. La televisione iniziava ad entrare nelle case degli italiani, passando con rapidità da bene di lusso a bene di massa. E chi ancora non l’aveva in casa, andava al bar.

In quegli anni si cominciava a conoscere il consumismo, il concetto del comprare in massa non più solo il necessario, ma anche gli “sfizi” in base ai propri gusti; la disponibilità di danaro creava una classe media che, come era avvenuto negli Usa anni prima, affollava il mercato dei beni durevoli. Il Carosello si inserisce perfettamente in questo contesto.

Nonostante ciò, non era solo consumismo. Come si è già detto, era anche spettacolo. E non solo perché raccontava delle storie e perché creava dei personaggi che sono ancora oggi parte del panorama culturale (basti pensare a Topo Gigio o allo sventurato Calimero il pulcino perennemente nero sbiancato alla fine da un noto detersivo), ma perché vedeva il coinvolgimento di grandi attori, registi e personaggi dello spettacolo. Solo per fare qualche nome: Totò e Peppino, Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Dario Fo, Mina e persino Franck Sinatra.

Il Carosello durò 20 anni. Nel gennaio 1977 Raffaella Carrà durante il super spettacolo di capodanno presentato da Stock salutava dicendo: “Eccoci nel 1977, si è chiuso un ciclo. Vent’anni di Caroselli Stock. Ed è a nome della Stock che desidero ringraziare tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione dei suoi caroselli e tutti voi, che si siete sempre stati amici, e che speriamo ci seguirete per molti anni ancora. Auguri di buon anno e sereno lavoro, dalla Stock” (che era poi anche l’azienda che legava il suo nome a una trasmissione radiofonica, “tutto il clacio minuto per minuto”: “Se la vostra squadra del cuore ha vinto brindfate con Stock, se ha perso consolatevi con Stock”).

I tempi erano cambiati, la tecnologia si era sviluppata e il Carosello non rispondeva più alle esigenze della società. Nel 2013 la RAI ha mandato in onda in via sperimentale il “Carosello Reloaded”, una rivisitazione in chiave moderna del vecchio spettacolo pubblicitario, ma non ha funzionato. Ciò dimostra quanto Carosello fosse figlio del suo tempo. Certo è che risale a un’epoca in cui la RAI faceva storia. Creava cultura e la riproduceva al tempo stesso, anche nei suoi stereotipi (la contrapposizione campagna arretrata/ città sviluppata ad esempio con il contadino inorridito dai casalinghi moderni, oppure il velato razzismo di Calimero veneto che diceva: “Non trovo la mia mamma perché sono nero” e la lavandaia rispondeva “Non sei nero, sei solo sporco. Ava come lava!”). Erano i tempi di Lascia o Raddoppia di Mike Bongiorno e del Musichiere di Mario Riva, di Canzonissima con lo scandaloso ombelico di fuori della Carrà, del “Dadaumpa” con le splendide gambe delle Gemelle Kessler in qualche misura censurate da Bernabei) e di “Non è mai troppo tardi” di Antonio Manzi, che letteralmente alfabetizzava gli italiani: un milione di connazionali in pochi anni presero la licenza elementare grazie a lui.

Oggi la televisione sta cambiando, e forse il concetto stesso di televisione sta perdendo il proprio significato. La nostra è la società della frenesia e dell’individualismo. Ognuno ha i suoi orari. L’idea del “rito” davanti la TV (legato alla cena come momento di riunificazione familiare), dell’impegno giornaliero o settimanale che sia, è inadatta. Il futuro è l’”On demand” cioè: a qualsiasi ora, soprattutto alla propria personalissima ora. E sebbene non se ne possa negare la comodità, è indubbio che si è perso un momento di socializzazione che chi l’ha vissuto, ricorda con grande nostalgia.

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