Quel Movimento (5stelle) che annulla le tradizioni ideali

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-di EDOARDO CRISAFULLI-

Torniamo alla vicenda provinciale, ma eloquente, dei Cinque Stelle (al parlamento europeo). C’è un raggio di luce, e di speranza. La spaccatura all’Europarlamento dimostra che un’idea, per quanto vaga, di “sinistra” e “destra” (r)esiste ancora, e fa presa. I due europarlamentari pentastellati, di fronte al naufragio del loro leader, hanno scelto secondo coscienza, non in base a un qualche torbido interesse (poiché nessuno poteva occupare posti di governo, il trasformismo non c’entra nulla). E’ rispuntato sulla scena l’ideale: l’antieuropeismo con tinte xenofobe da un lato; l’ecologismo idealista dall’altra.

Posti di fronte a una scelta etico-politica, ognuno si è scelto i compagni di viaggio più congeniali, più simili. Il fatto che abbiano scelto in maniera diametralmente opposta, la dice lunga: si conferma l’assurdità di un progetto che punta ad annullare sia il concetto di partito politico sia quello di tradizione ideale (le due cose vanno di pari passo). Il partito di Grillo, insomma, non ha affatto superato la distinzione storica, classica, fra destra e sinistra. L’ha solo anestetizzata. Non si possono comprimere nella stessa formazione politica persone con orientamenti diversissimi. Non basta il grido “onestà!” a tenere assieme gli opposti. Prima o poi la convivenza forzata porterà all’implosione. Basta un evento scatenante, una crisi politica. Qui è bastato ben poco per dar fuoco alle polveri.

Non c’è verso: per quanto si cerchi di spezzarlo, il legame tra politica e cultura prima o poi si ricostituisce. Insistere è come voler separare per sempre due atomi della stessa molecola. L’operazione Cinquestelle (ma, per certi aspetti, anche quella del Partito democratico) è fallita o fallirà presto. In politica non può esserci una tabula rasa. Detto questo, è arcinoto che i concetti di sinistra e destra sono logori, consunti dall’abuso. Ma ciò non implica che non abbiano più alcun senso: vanno piuttosto rimodellati sul tempo attuale. Pensiamo al dibattito sul multiculturalismo. Oriana Fallaci, che aveva una formazione azionista con venature illuministiche, è stata accusata d’essere di “destra”; Franco Cardini, un cattolico tradizionalista, compie alcune analisi tipicamente di “sinistra”, di vago sapore marxistico. Basta confrontare La rabbia e l’orgoglio con l’Islam è una minaccia. Falso! (uno degli ultimi saggi di Cardini) per capire che abisso separa queste figure. Chi è dunque veramente di sinistra o veramente di destra? E, poi, di quale sinistra (liberale-illuministica, o marxiana-terzomondista?), o di quale destra (libertaria alla Cameron o xenofoba-nazionalistica alla Farage?) stiamo parlando?

Oggi tutto ruota attorno alla globalizzazione selvaggia e frastornante in cui siamo immersi. Ecco che cultura, economia e politica si (con)fondono: accettiamo il multiculturalismo, o lo rifiutiamo? In quale dei due casi siamo progressisti e in quale reazionari? Accettiamo il libero scambio anche quando ci danneggia nell’immediato, o ci rifugiamo nel protezionismo? Siamo favorevoli alla libera circolazione delle persone, e quindi all’immigrazione di massa, o la osteggiamo? Anche qui bisognerebbe chiedersi chi è veramente “progressista” (termine, peraltro, ambiguo): il protezionismo non è estraneo alla prassi della sinistra, i dazi doganali (o le svalutazioni monetarie: si pensi alla Fiat negli anni d’oro) erano pensati sì per incrementare il profitto dei capitalisti, ma al tempo stesso salvaguardavano i posti di lavoro nelle industrie nazionali. Tutti si scagliano contro Donald Trump perché non vuole che le industrie automobilistiche delocalizzino, e investano piuttosto in America. Ma non è, questa, un’idea tipica, tradizionale, della sinistra sindacale?

Quello che è di destra, semmai, è il protezionismo autarchico unito a un nazionalismo bellicoso, neo-colonialista (la cui massima e più perfida espressione si è avuta con la Germania nazista e l’Italia fascista). La xenofobia invece non appartiene alla sinistra. Tuttavia la classe operaia, in tutti i Paesi occidentali, ha sempre espresso una certa diffidenza verso gli immigrati, manodopera a basso costo che minacciavano (o minacciano ancora?) le conquiste dei lavoratori sindacalizzati. Il libero commercio a livello mondiale, unito all’immigrazione, è un’idea nobile, e alla lunga produrrà più benessere per tutti. Anzi, l’ha già prodotto per milioni di indiani e cinesi, e per tutti i migranti economici fuggiti in Occidente da Paesi poveri. Anche Gramsci aveva capito che la storia spinge con la forza di una slavina verso quella che lui definiva “unità mondo”, che è un esito certamente progressista quindi positivo. Ma oggi, nel quotidiano – in America ed Europa –, l’unità mondo sta distruggendo milioni di posti di lavoro. Chi si sacrifica, allora, sull’altare del progresso dell’umanità? La sinistra liberal ha scelto la globalizzazione così com’è, e sta perdendo i voti dei lavoratori tradizionali. La destra illiberale vi si oppone, e fa incetta di voti operai e proletari, i “blue collar”. Temo che ripetere ossessivamente l’accusa “populismo!” equivalga a gridare al lupo, al lupo! Una parola inutile gettata al vento.

Per essere più precisi, ciò che pensiamo e ciò che faremo dipende dal giudizio che diamo su quel sacro fuoco inestinguibile, su quel dinamismo nevrotico che Marx definiva “la distruzione creatrice del capitalismo”. Va bene così, o siamo in grado di renderla meno distruttiva, questa folle corsa del capitalismo, o quantomeno a mitigarne gli effetti collaterali?

Nessuna persona sana di mente vuole il ritorno del comunismo. Ma qual è l’alternativa, abbandonarsi alle correnti impetuose del Progresso, e far sì che sia l’astuzia della storia a scegliere per noi l’approdo giusto?

Queste domande sono troppe per un post. Ma una cosa la si può dire: torniamo ai classici, e studiamo. Finché sigilliamo politica e cultura in compartimenti stagni, brancoleremo nel buio. I grandi partiti non organizzano più seminari come quelli di un tempo. I politici vivacchiano. Ci pensano i capitalisti stessi a produrre cultura politica. Colpisce che il World Economic Forum (WEF), non propriamente un covo di sovversivi rossi, impaurito dal proliferare di partiti “populistici” ed estremistici in Occidente, abbia appena scoperto l’acqua calda, ovvero che il capitalismo contemporaneo va riformato da cima a fondo; che bisogna tutelare le identità promuovendo al tempo stesso la tolleranza e l’inclusione; che è un guaio disintegrare le comunità umane in nome del profitto e di una crescita incontrollata; che la cooperazione allo sviluppo è cruciale per il benessere di tutti; che le opportunità create dalle nuove tecnologie vanno colte, secondo giustizia però (“Capitalism needs urgent change: WEF”, The Daily Star, 12 Gennaio 2017). Ma non sono forse queste le idee che la social-democrazia classica dibatte da oltre cent’anni?

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Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

One thought on “Quel Movimento (5stelle) che annulla le tradizioni ideali

  1. Complimenti per gli importanti stimoli validi per tanti Socialisti, che dovremmo approfondire le nuove complessità della globalizzazione e soprattutto degli effetti sulle condizioni dei cittadini e di chi lavora nei diversi luoghi del mondo.Soprattutto come combattere le gravi disuguaglianze

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