-dI FEDERICA PAGLIARINI-
Ricorre oggi l’anniversario del rogo della ThyssenKrupp: era il 6 dicembre 2007. Uno degli incidenti più gravi sul lavoro della contemporanea storia italiana.
Le vittime furono sette, tutti giovani morti in seguito a gravissime ustioni. La ThyssenKrupp è una delle più grandi multinazionali dell’acciaio in Europa ed arrivò a Torino negli anni Novanta. Nel 2005 era stata decisa la chiusura degli impianti italiani, ma un incendio nella struttura non lo permise. Due anni dopo, nel 2007, furono licenziate molte persone e i pochi rimasti furono costretti anche a sobbarcarsi turni anche di dodici ore di lavoro al giorno.
Le prove antincendio non si svolgevano più venendo continuamente rinviate. Fino alla mezzanotte del 6 dicembre 2007 quando accadde l’irreparabile ma non l’imprevisto considerate le condizioni della fabbrica. Un grande incendio colpì la linea 5 dell’acciaieria. Otto operai intervennero per domarlo, ma vennero investiti da una fatale fiammata. Alcuni morirono subito, altri dopo giorni di agonia e interventi chirurgici in ospedale. La loro età andava dai 26 ai 37 anni. Solo uno degli otto si salvò: Antonio Boccuzzi, parlamentare del Pd. La linea 5 era quella che si occupava della cottura e del decapaggio dell’acciaio. Un reparto giudicato ad alto rischio di incidenti, ma a quanto pare dai dirigenti non al punto da considerare vitali le prove antincendio e di conseguenza irresponsabili le decisioni con le quali venivano continuamente rinviate.
Nel lavoro il rischio zero in assoluto non esiste ma in Italia non sembra essere nemmeno perseguito come obiettivo visto che siamo uno tra i un paesi con il più alto tasso di infortuni mortali (solo di pochi giorni fa le tre vittime del porto di Messina: stavano pulendo la cisterna di una nave; di dieci giorni fa, invece, la morte di un lavoratore impegnato in una cava di marmo a Carrara dopo che ad aprile altri due avevano perso la vita nella cava Antonelli; a settembre un operaio dell’Ilva di Taranto addetto alle pulizie industriali è stato schiacciato da un rullo). Quell’incidente, un rogo nella nostra anima di cittadini, non fu l’ultimo, ma ci può aiutare a riflettere e a rilanciare la battaglia sulla sicurezza sui luoghi di lavoro a partire dalle attività più rischiose come quelle legate all’edilizia dove, al contrario, gli standard sono stati abbassati attraverso l’uso (e la copertura) massiccia di voucher e la “fuga” dal contratto nazionale. Tanto va fatto per mantenere e garantire la sicurezza sul lavoro.
Due anni dopo la tragedia, nel 2009, la Corte d’Assise di Torino ha accolto le richieste d’accusa. L’amministratore delegato della ThyssenKrupp Italia venne condannato a sedici anni e sei mesi di reclusione per omicidio volontario. Era la prima volta che un tribunale riconobbe come un reato grave un incidente sul lavoro. Ma l’illusione di una pena esemplare per coloro che non rispettano le regole relativamente alla sicurezza sul lavoro durò poco. In appello a febbraio 2013 il reato di omicidio volontario non fu riconosciuto nei confronti dell’amministratore delegato Harald Espenhahn e per gli altri le pene vennero ridotte (a sette anni per Gerald Priegnitz e Marco Pucci, nove per Daniele Moroni, otto e mezzo per Rafaele Salerno e otto per Massimo Cafuer). La conclusione della vicenda giudiziaria si è avuta il 13 maggio scorso quando la Cassazione ha condannato a nove anni e otto mesi Espenhahn, a sei anni e dieci mesi Pucci e Priegnitz, a sette anni e sei mesi Raffaele Salerno e a sei anni e otto mesi Cosimo Cafuer.
Mi sento sempre vicino a quei lavoratori morti così tragicamente, l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro http://cadutisullavoro,lho aperto il 1° gennaio 2008 proprio per onorare quelle sette vittime. Carlo Soricelli