-di MAURIZIO BALLISTRERI-
C’è un dato inequivoco che emerge dal voto sul referendum costituzionale. La grande partecipazione popolare rappresenta un rilancio della democrazia in Italia e dei valori fondamentali della Costituzione repubblicana. Del tutto fuori luogo, quindi, appare l’ipotesi di una nuova stagione di riforme costituzionali, vera e propria ossessione bipartisan della democrazia maggioritaria della cosiddetta seconda Repubblica. E’ dal 1993 infatti, con l’affermarsi di una distorta concezione del maggioritario, legata al tema della presunta governabilità ma in realtà connessa a logiche di potere, che si è prodotto un fallimento dopo l’altro, costruendo, paradossalmente, un sistema politico meno efficiente e più ingovernabile.
Nel 1993, infatti, si approvò una sbagliata legge costituzionale, la n.1 del 6 agosto, con cui si è introdotto un procedimento di revisione costituzionale fondato sul principio della distinzione tra prima e seconda parte della Costituzione, ritenendo la prima intangibile e la seconda, connessa all’esercizio dei poteri, riformabile ad libitum, con gravi vulnus come quello del pareggio di bilancio in Costituzione, con l’art. 81 riformato.
A ben vedere il tema non è quello di riformare ma di attuare la Carta fondamentale, recuperando il principio di unitarietà costituzionale che fu elaborato da Costantino Mortati, secondo il quale la Costituzione “possiede in sé gli strumenti per far fronte alle sopravvenienze storiche sia agendo sull’elasticità del testo, sia mediante l’intervento di una legge di revisione (e non di riforma!) costituzionale”, i cui limiti sono da rilevare non solo nell’ art. 139.
In questa prospettiva non è più rinviabile una legge di attuazione dell’art. 39 della Costituzione, in materia di disciplina dei sindacati, efficacia generale dei contratti collettivi, verifica della effettiva rappresentatività. Un modello è quello francese, con la legge che sostiene l’autonomia collettiva derivante da accordi interconfederali, a patto che non siano solo quelli del club esclusivo “ad inviti” rappresentato da Confindustria-Cgil-Cisl-Uil; non più l’ordinamento intersindacale costruito mirabilmente sulle teorie di Gino Giugni, ma una sorta di Circolo Pickwick autolegittimante, che esce sconfitto dalla consultazione sul referendum costituzionale, essendosi espresso, esplicitamente o per comportamenti concludenti come la firma degli accordi precontrattuali dei metalmeccanici e del pubblico impiego, con chiare finalità elettoralistiche, per il sostegno a Renzi.
L’intervento legislativo dovrebbe riguardare anche i diritti sindacali in azienda, collegati alla verifica della rappresentatività con il voto e non alla stipula e alla negoziazione di contratti collettivi, come deriva dall’attuale formulazione dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori, che consente ai datori di lavoro di scegliersi gli interlocutori sindacali, al di fuori di verifiche certe circa la reale consistenza associativa e di consenso in azienda, unico strumento di legittimazione del potere di contrattazione.
C’è bisogno quindi, di una rilettura dell’art. 39 della Costituzione, con delle alternative, per ciò che attiene il rapporto tra rappresentanza ed efficacia erga omnes dei contratti collettivi di lavoro ricordando gli studi di Massimo D’Antona secondo cui la Costituzione “apprende dai processi storici, siano essi compresi nell’ordinamento giuridico oppure estesi alla sfera sociale, soprattutto laddove, come avviene per l’art. 39 prima e seconda parte, non contiene solo norme di dettaglio ma principi in quanto aperti ai valori e dunque alle dinamiche di inveramento dei valori che si sviluppano in ambiti diversi, quello dei rapporti tra stato e gruppi sociali organizzati, quello dei rapporti pluralistici tra organizzazioni contrapposte e concorrenti, quello dei rapporti tra le organizzazioni e gli individui che sono rappresentati, ma anche soggetti all’autorità normativa delle organizzazioni“, con il ricorso al metodo ermeneutico per una lettura “dinamica” e non “statica” della Costituzione, secondo l’insegnamento di Luigi Mengoni.